I diktat che uccidono gli allevatori

4 novembre 2016 | 19:57
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I diktat che uccidono gli allevatori

di Francesca Marchi #VITANELPARCO
Un reportage in alta quota per dar voce ai pochi allevatori e pastori rimasti sul Gran Sasso. Sono sempre di meno a causa della crisi, dei vincoli pesanti e del mancato dialogo con politica e parco. Le interviste ad Angelo Spagnoli e Peppe Acitelli che vivono di pastorizia e incredibilmente resistono. 
“Ci dicono che la montagna si deve riposare, vogliono che rimettiamo le bestie dentro. Com’è possibile interrompere il pascolo?”
Angelo Spagnoli è l’unico allevatore rimasto su monte San Franco.
Tempra robusta, portamento fiero e occhi che raccontano una vita intera.
Mi accoglie a casa sua, nella cucina calda, tra mele, uva, formaggi e buon vino. Sono le 9 del mattino e prepara da mangiare. Il suo è un mestiere che comincia presto e anticipa le luci dell’alba.
Pecore, vacche e cavalli da mantenere, per mantenersi.
Ma non è facile, soprattutto quando nelle terre del parco nazionale Gran Sasso Monti della Laga sta per scattare il divieto al pascolo per contrastare il “sovraccarico del  bestiame, non compatibile con l’equilibrio dell’ecosistema”.
C’è un termine preciso, il 30 Novembre quest’anno, che chiude la stagione della monticazione, giorno in cui il bestiame tornerà nelle stalle.  Negli anni si è ristretta la superficie per il pascolo a causa del moltiplicarsi dei Siti di Interesse Comunitario (Sic).
“Gli animali dove andranno a mangiare? Il regolamento del pascolo ci farà smettere di lavorare insieme ad altri divieti con cui conviviamo da vent’anni”.

A questo si aggiungono “i danni fatti dai cinghiali che arrivano nelle terre, non si può più seminare e fare orti. Alla piana di Camarda ne ho contati proprio l’altro giorno ottantasei. Quel che è peggio è che nessuno ti rimborsa. I soldi per noi non ci sono mai. Vogliono trasformare questa zona in una riserva senza considerare che ci siamo noi qui dentro”.
Gli allevatori e i pastori non si sentono tutelati dal Parco, terra in cui vivono e lavorano da molto prima dell’istituzione dell’Ente. “Ci hanno tolto le terre vent’anni fa, promettendoci contributi, ma non abbiamo visto nulla. Solo problemi”.

14914735_312991935748791_1822473687_nPeppe Acitelli, con le sue 32 mucche al pascolo su Colle Melone nei pressi di Fonte Cerreto, è l’unico allevatore rimasto a Camarda. Stesso lavoro di Angelo, stessi problemi e ostacoli insuperabili.
“I miei vitelli moriranno, se non tutti una gran parte, con l’arrivo della neve. Anche il mio trattore, le mie balle di fieno resteranno sotto acqua e neve per tutto l’inverno”.

I vincoli del Parco sono duri, così come quelli europei, che si aggiungono ai primi e immobilizzano il lavoro secolare di pastori e allevatori. Peppe all’interno del suo terreno non può costruire nemmeno un semplice ricovero per tenere il bestiame al coperto, è zona Sic. “Ci vuole un progetto da presentare al Parco – spiega – ma i tempi sono lunghissimi”. [(R)esistere nel Parco, c’era una volta Assergi]

Da Paganica, a Camarda fino ad Assergi in queste settimane l’argomento dei vincoli Sic e Zps tiene banco, anche grazie a una petizione che vuole ridisegnare i confini. Sono assetati di notizie gli allevatori del Gran Sasso, seguono sui giornali le ultime novità e aspettano di sapere cosa verrà fuori dalla battaglia sperando in una riperimetrazione della zona che lasci loro un po’ di respiro, quanto basta per sopravvivere.
14958853_10207917705675866_869066886_nPoco più a valle, ai piedi del Gran Sasso, Assergi. La porta d’ingresso alla montagna più alta dell’appennino.
Cosa si aspetta un turista?
Nulla a che vedere con le famose località del Trentino. Nulla da invidiare alle Alpi in quanto a vette e paesaggi mozzafiato.  Strutture sciistiche di primo livello e infrastrutture, questo ciò che manca sulle nostre cime dove la cultura della settimana bianca da passare sul Gran Sasso sembra una chimera.
Ma c’è chi guarda oltre, crede, investe e fa turismo.
A pochi metri dai Laboratori di Fisica Nucleare incontro Roberto Santini, imprenditore locale che nel suo lavoro ci mette soprattutto cuore. Sistema gli ultimi dettagli all’interno delle “sue nuove case” del Grottino di Assergi.
Sembra quasi un altro Daniel Kihlgren che “trasforma stalle e pagliai in piccole regge”. Spazi esterni ed interni curati in ogni particolare: “Ci ho messo sei mesi per fare tutto questo con sforzi personali. Lavoro tutto l’anno con chi vive la montagna: dal trekking, alle escursioni, allo sci. Mancano le infrastrutture, il turismo è fatto da una grande rete. Allora sì che Assergi potrebbe definirsi la frazione turistica alle porte dell’Aquila”.