
di Vincenzo Battista – “Al più alto e il più intimo” spetta quel posto, spettano quelle insegne dell’aquila simbolo di dominio e di grandezza, figura di controllo del cielo; natura maestosa dall’alto, come nessun alto scruta il paesaggio sottostante con la sua forza contemplativa, che si rinnova, cambia, quando più si libbra nel vento.
“Al più alto e più intimo” Giovanni di Zebedeo “il giovane”, chiamato dai greci teologo e dagli antichi padri spirituali, spetta quell’iconografia cristiana dell’aquila solitaria, vigile padrona del tempo,poiché si narra, sia stato l’unico a trovarsi ai piedi della Croce, e tra gli evangelisti il più illuminato, quello che reclina il capo sul petto di Gesù nell’affresco dell’Ultima cena di Giotto (1303 – 1304, Cappella degli Scrovegni, Padova) secondo la tradizione bizantina, a cui sulla croce morente Cristo affida la madre nella straziante pittura anche rinascimentale della Crocifissione.
Figura luminosa, trascendente fu definito il suo vangelo: “In principio era il Verbo… e il Verbo si è fatto carne e abitò tra voi” e ancora “La verità vi farà liberi”. Questo si aspettavano, e tanto ancora dovevano trovare i pellegrini e peccatori del XII secolo sulle grandi direttrici medioevali del perdono in marcia nel lungo viaggio dell’ascesi, spinti dal desiderio di andare a venerare le tombe dei santi, le reliquie dei famosi santuari e dall’odierno Lazio magari entrare in Abruzzo, attraverso la Piana del Cavaliere sostare nell’insediamento monastico benedettino di Santa Maria in Cellis fondato nell’anno 1000, uno dei centri religiosi più importanti della diocesi dei Marsi, dipendenza cassinese, oggi chiesa cimiteriale nell’immediata periferia di Carsoli. Sostare lì quindi, per guardare e conoscere “il vocabolario” della salvezza “l’atlante” del racconto religioso romanico che si pietra, scolpita, lavorata come un tessuto ad uncinetto negli stipiti dei portali, negli archivolti, nelle colonne, fino a raggiungere la massima espressività nei codici delle decorazioni: figure tremende o consolatrici uscite dalla Bibbia e dal Vangelo. Accostate tra loro rivelano la pedagogia di storie e accadimenti per informare i cristiani, una miriade di immagini – ornati che devono arrivare a destinazione… ai fedeli e, tra queste, “il messaggio” supremo, l’epilogo, nel prospetto dell’ambone ( il pulpito comunemente chiamato) della chiesa di Santa Maria in Cellis: l’aquila in marmo bianco, plastica, slanciata, dell’evangelista Giovanni, “Al più alto e al più intimo”spetta quel posto.
A girare intorno a quell’enorme blocco unico del pulpito in pietra nella chiesa, questa volta ci sono i ragazzi del 4 b del liceo scientifico di Carsoli : fotografano, commentano, prendono appunti per il concorso indetto dal FAI ( Fondo per l’ambiente Italia) dal titolo “ Un segnale per l’ambiente”, e qualcuno scopre che la testa dell’Aquila è gravemente lesionata, rischia il distaccamento. “ Fratturazione e distacco: fermatura provvisoria con velatino di garza e resine per un presidio meccanico provvisorio” dirà, nel referto dell’immediato intervento, l’operatore del restauro e Soprintendenza PSAE. Un “segnale” diverso, questa volta, partito dalla scuola, che “sul campo” compie un’operazione di tutela e salvaguardia di un bene culturale, tanto importante se si pensa che lo storici dell’arte I.C. Gavini intono al !927 fotografa il pulpito e lo pubblica nel 1° volume di “Storia dell’ Architettura in Abruzzo”, ma poi aggiunge un dettaglio: “ il candelabro ( in pietra, con capitello, mostri e serpenti; unico esempio di infisso liturgico dopo il 1000) nascosto in un angolo presso il pulpito – scrive – è anch’esso un’opera originalissima degli stessi marmorani”. Ma non c’è più, è stato asportato, e chi sa forse, senza nessun interesse, sostiene un vaso di fiori…
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