Il lungo racconto di Natale

8 dicembre 2011 | 23:53
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Il lungo racconto di Natale

di Vincenzo Battista

L’incenso dal profumo sottile, balsamico, caldo, legnoso. Invadente, fumo fragrante, nuvola aromatica, proveniva dai rilievi montagnosi che declinano lungo le coste del Mar Rosso; aveva il potere di addolcire le amarezze, come vuole il rito, trasformare il dolore e le pene nella sostenibilità dell’essere; l’incenso, quello prescritto a Mosè per i profumi e utilizzato anche dagli antichi Greci e dagli Egizi, nei loro templi, che trasudavano di questo odore dolce offerto in vari modi: una liturgia senza tempo.

{{*ExtraImg_238434_ArtImgRight_300x478_}}Poi la mirra, con il compito di coprire l’odore della morte, profumo resinoso e balsamico per attenuare la passione, dalle più diverse qualità, acre, caldo, assicurava l’imputrescibilità dei corpi, qualcosa d’infinito, come l’anima; gocciolava in primavera dalle fessure delle cortecce e veniva usata per le mummificazioni e le imbalsamazioni. Resine del paradiso quindi, balsami pregiati, aromatici, trascendenti il dolore, la morte, celebravano il trionfo del non essere.

E infine l’oro aspirazione della regalità, il primo metallo conosciuto dall’uomo fin dai Sumeri.

Tutto questo portavano con loro i Magi, sacerdoti di una casta religiosa e primitiva, ma secondo le fonti tardo greche anche astrologi, indovini e fattucchieri. Giunti nella pianura, racconta una storia, che potrebbe essere una fiaba di Natale ambientata in un cielo pieno di astri, dall’aria gelida, e dal terreno coperto di neve come mai non si ricordava, i Magi si muovevano a fatica, simboli della divenuta immortalità con le loro resine, ma soprattutto di quella solidarietà che non stabilisce mai i confini, passarono anche qui portandosi dietro una grande umanità, costituita da contadini, pastori, falegnami, fabbri, boscaioli, maniscalchi e tanti altri ancora in quel tremendo inverno del 1944.

{{*ExtraImg_238435_ArtImgRight_300x230_}}Queste persone erano spinte da un’antica legge di fratellanza, aiuto, compassione, verso quei “poveri Cristi”, dentro quelle piccole capanne di quel grande presepe che era diventata la Conca Peligna, in un particolare Natale del 1944.

“[i]In molte capanne delle campagne di Corfinio, nascosti, ci vivevano gli inglesi, fuggitivi, impauriti, gelati, disperati[/i] – raccontano – [i]Mio nonno e mio padre preparavano un cesto con dentro pane, formaggio, una minestra, un po’ di vino e verdura e lo portavano di nascosto, senza farsi vedere, in campagna, nelle capanne usate d’estate dai contadini per rimettere gli attrezzi agricoli, che erano di legno, con una lamiera sopra. Si parlavano a gesti. Un giovane piangeva mi ricordo, per quella fratellanza dimostrata[/i]”. Intorno e dentro i borghi del presepe della Conca Peligna i tedeschi, l’occupazione, i fascisti, i cannoneggiamenti continui, miseria, terrore e poche certezze.

{{*ExtraImg_238436_ArtImgRight_300x213_}}“[i]I contadini portavano gli stivali per irrigare[/i] – continuano – [i]e li usavano per farsi strada nella neve. Agli inglesi davamo coperte e cappotti vecchi, la paglia, qualcuno preparava un sacco e dentro ci metteva le foglie di granturco, per farne un pagliericcio. Centinaia e centinaia di uomini li abbiamo aiutati, e non solo a Corfinio. Con tanti sacrifici molti inglesi li abbiamo salvati[/i]”.

Di tanti non si è saputo più niente, molti non ce l’anno fatta, ma qualcuno è tornato per rivedere quelle capanne, quei luoghi, per ritrovare quelle persone e continuare a raccontare questa storia che assomiglia ad una fiaba di Natale, difficile da dimenticare.