Il cibo di Natale vive nei prodotti alimentari del paesaggio

di Vincenzo Battista
“[i]Ecco qui lo spaccalegna con la scure egli si ingegna. Un bel ceppo ha preparato per scaldare il neonato. E’ venuto il cacciatore che si è fatto molto onore, porta una lepre e un coniglio, per la madre e per il figlio. Ecco qui la zingarella, con il canestro e la corvella; essa vien dalle montagne, ha portato le castagne. Questi doni no so belli, ma noi siamo poverelli: Compatite Madre mia, o dolcissima Maria[/i]”. Nella filastrocca, recitata anche dai poeti a braccio, “[i]dai nostri vecchi[/i]”, nomadi e transumanti, dicono Giuseppina e Antonia Ferroni, sono presenti gli elementi distintivi del paesaggio che ricostruiscono, attraverso la narrazione, un presepe virtuale, a immagine e somiglianza delle identità locali di questa zona, compresi i lavoratori stagionali che migravano nella campagna romana dall’Alto Aterno e da Ville di Fano.
“[i]Partivano a novembre[/i] – raccontano – [i]dal paese, e quelli che avevano i figli piccoli rientravano a Natale, per unirsi agli uomini che costruivano davanti alla chiesa il faone[/i]”, il grande falò che indica la “[i]sosta sacra[/i]”, il “[i]punto d’incontro[/i]”, la rinascita, la fine del solstizio d’inverno.
“[i]Abbiamo perfino fatto spostare il palo della luce[/i] – ci dicono Antonia e Giuseppina – [i]per il grande fuoco che dobbiamo fare ogni anno, alla vigilia di Natale. Anche con la neve gli uomini hanno spalato la piazza e alzato la catasta. Prima andavano per le case a prendere i tronchi, adesso i boscaioli vanno per la montagna e raccolgono i tronchi di castagno, quelli secchi. Dopo la messa, il fuoco arde per riscaldare Gesù, la gente rimane lì fino alla mattina. Dentro le case invece si mette un ciocco. I vecchi dicevano ‘Si deve riscaldare il Bambinello che arriva’[/i]”.
Il rituale prosegue con i dodici pasti, “[i]tutti al magro, senza carne, perché è la vigilia[/i]” raccontano. Sono per i dodici apostoli della cena di Natale: una proiezione simbolica, attraverso il cibo povero, che accoglie gli Apostoli, “[i]quelli che vanno in giro[/i]”. In qualsiasi momento potevano bussare e unirsi ad un cerimoniale particolare: spaghetti con le alici; baccalà in umido con i fichi; baccalà in bianco con pesto di noci, nocchie, alici, aglio; baccalà fritto che si “[i]tingeva[/i]”; anguille cotte; rapa rossa; broccoli insalata; broccoli fritti con la pastella; mele fritte con la pastella; “[i]Le pastinaghe, radici che si seminavano: sono come le carote, bianche, dolci[/i]”; le castagne e infine la frutta.
Anche gli animali avevano un trattamento diverso. “[i]Alle vacche e il bue[/i] – continua Antonia – [i] mio padre la sera della vigilia, invece del mestico, paglia e fieno, dava il fieno assoluto. Questo bue aveva riscaldato, diceva, Gesù con l’alito e poi il sacerdote, mi ricordo, voleva togliere il falò – conclude – perché i giovani restavano fuori dalla chiesa: io gli dissi che qui a Villa si abolisce una legge, ma non una ”lunga” tradizione delle persone. . .”[/i]