Commissione Grandi rischi, Stoppa: «Falso che stesse scaricando»

L’Aquila, 1 feb 2012 – Quale sarebbe stato il messaggio che la Commissione Grandi rischi avrebbe potuto rilasciare il 31 marzo 2009 se si fosse tenuta nel 2002? Impossibile cercare una risposta dalla testimonianza di Francesco Stoppa, il teste dell’avvocatessa Wania Della Vigna che 10 anni fa fu componente della prima formazione dell’organo consultivo della presidenza del consiglio dei ministri ma secondo la testimonianza resa dal professore ordinario di geochimica e vulcanologia all’università di Chieti davanti al giudice titolare del procedimento, Marco Billi, sembra proprio che la storia sarebbe stata diversa: «Penso che dalla Commissione Grandi rischi si dovesse dare un’informazione cum grano salis», con un pizzico di buon senso, ma la sensazione era che «si fosse data una visione un po’ troppo tranquillizzante. Ritengo che ci sia molta più saggezza nella tradizione che in un comunicato stampa estemporaneo. Ciò che la gente aveva recepito era che non c’era pericolo maggiore. La popolazione deve essere avvertita e le abitazioni, le scuole che non supportano le scosse devono essere evacuate».
Non solo, «io e alcuni colleghi trovavamo strano che si dicesse che lo scarico di energia era un fatto favorevole. Ero preoccupato perché sapevo benissimo che il potenziale sismico delle faglie, che potevano essere sottese a scosse premonitrici, potevano arrivare anche a magnitudo di 6.5. fino ad allora erano stati scaricati forse un milione di joule ma la scossa scarica migliaia di miliardi di joule quindi è un falso che stesse scaricando. Penso che la dichiarazione, che stesse scaricando energia, abbia aumentato la
vulnerabilità del sistema».
E ancora, «non si erano verificate migliaia di scosse di magnitudo 4 ma forse una o due. Per scaricare la potenza rilasciata il 6 aprile ce ne sarebbero volute migliaia. La faglia non aveva scaricato un bel niente, anzi era carica. L’analisi del rischio ci dimostra che a L’Aquila la situazione era molto pericolosa, le scosse premonitrici ci dicono che c’era una deformazione in corso, è fondamentale informare la popolazione, non disinformarla, più tardi lo si farà e più si dovrà scegliere le parole giuste e nel modo giusto. Dare l’allerta sì, e nelle condizioni che c’erano 5-6 giorni prima del 6 aprile, bisognava farlo e non c’entra niente con prevedere i terremoti».
La preoccupazione per lo studioso fondava le basi nella conoscenza che la zona fosse ad elevata pericolosità, un dato che secondo Stoppa era sicuramente nelle mani della Regione Abruzzo che nel 2006 aveva affidato uno studio al dipartimento di cui era direttore, costato ben 200 mila euro, attraverso cui era stata sviscerata la pericolosità del territorio: «Veniva messa in evidenza una faglia attiva, un box sismico dove poi si è verificata la scossa del 6 aprile 2009».
Stoppa ha precisato che «bisogna capire cosa è un allarme e cosa è un allerta. Quando il rischio è elevato bisogna assumere misure di mitigazione più stringenti. Dobbiamo diminuire il rischio, non mitigarlo. Fino a 10 giorni prima del 6 aprile non si poteva dire che sarebbe sfociato in un terremoto distruttivo ma negli ultimi giorni prima della scossa c’era un’evoluzione del fenomeno, più scosse e magnitudo maggiore». Lo studio a cui si riferisce il vulcanologo è quello redatto dallo studioso greco G.A. Papadopoulos e altri, dell’Istituto di Geodinamica, dell’Osservatorio Nazionale di Atene, Strong foreshock signal preceding the L’Aquila (Italy) earthquake: «Il numero di eventi sismici per giorno, la magnitudo, gli ipocentri, focalizzavano un punto che è poi stato la spaccatura iniziale che ha dato vita all’evento del 6 aprile. Gli studi successivi hanno mostrato che c’erano dei parametri geofisici che potevano far comprendere cosa potesse avvenire».
La posizione della scuola sismologica greca abbraccia la teoria che un terremoto possa innescarne altri. Per lo studioso la scossa del 30 marzo 2009, di magnitudo 4.1, può essere vista in questa prospettiva perché «si era passati da una sismicità di base ad un segnale che ci consente di poter dire che si sta preparando un evento di maggiore magnitudo, è proprio questo il nocciolo della teoria».
Le sequenze sismiche l’Italia le conosce bene anche se non tutte destano un’allerta maggiore. «Quando le scosse si accentrano in un territorio piccolo, questo deve aumentare il grado di allerta del sistema. All’inizio si potrebbe, per esempio, fare una preparazione sismica, esercitazioni, ma via via che l’incidenza aumenta si deve passare dalla fase di allerta a quella di allarme».
In udienza, per la prima volta, c’è stata una dichiarazione spontanea di uno degli imputati. Barberi ha ritenuto doveroso sottolineare che alcune affermazioni fossero scientificamente infondate. «Mi riferisco alla risposta della domanda formulata dall’avvocato Dinacci relativamente al fatto che grossi terremoti fossero frequentemente o meno frequentemente proceduti da sciami sismici. La risposta è infondata, sono agli atti del tribunale pareri di altri esperti più specializzati, altri studiosi verranno in aula a testimoniare».
Nel corso della testimonianza fiume, durata oltre 2 ore e mezzo, a Stoppa è stato chiesto come si procedesse alla verbalizzazione nelle riunioni della Commissione Grandi rischi quando ne faceva parte: «Veniva predisposto e poi sottoscritto contestualmente alla divulgazione di un comunicato stampa, entro un ora dalla fine della riunione. Le sedute non erano mai brevi, sempre nell’ordine delle ore perché ci veniva fornita della documentazione da esaminare che poteva aumentare la nostra conoscenza, non duravano mai tempi brevi, come sarebbe possibile valutare questi rischi in tempi brevi. La più breve è durata 2 ore e mezza».
Al banco dei testimoni si sono susseguiti Massimo Casacchia ordinario psichiatria, nella doppia veste testimone e consulente, il criminologo Francesco Sidoti, il geologo Uberto Crescenti, i dottori Gianfranco Amicucci e Massimo Mortari.
In attesa di assistere alla testimonianza dell’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, prevista per il prossimo 8 febbraio, il suo legale di fiducia Filippo Dinacci afferma che il suo assistito «non ha ricevuto alcuna notifica né in ordine alla convocazione come testimone al processo, né alla iscrizione sul registro degli indagati per omicidio colposo».
Alla sbarra con l’accusa di omicidio colposo, lesioni personali colpose e cooperazione nel delitto colposo per aver fornito false rassicurazioni agli aquilani, Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi, Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione Civile, Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.a.s.e., Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile.
Di Sarah Porfirio