I costi della politica: dal finanziamento pubblico ai rimborsi elettorali

Roma, 4 feb 2012 – Infuria la polemica in questi ultimi giorni. La questione dei costi della politica è riesplosa in merito al finanziamento pubblico dei partiti, abrogato con un referendum nel 1993, e “rinato” sotto forma di rimborsi elettorali, nel 1994. Dieci euro per ciascun voto arrivato alle elezioni, entrano nelle casse di tutti i partiti, purché superino la soglia dell’1%.
Gli ultimi dati sulle elezioni politiche (2008) parlano di 454 milioni di euro: 193 al Pdl, 168 al Pd, 39 alla Lega, 25 all’Udc, 20 all’Idv, 9 a Rifondazione. Dal 2001 è arrivato ai partiti oltre un miliardo di euro da questa fonte (che costituisce la maggior parte delle entrate per i partiti, tra 80 e 99%): 195 milioni nel 2001, e poi 436 (2006) e 454 (2008). Dal 1974 il totale ammonta a 6 miliardi di euro, ma la cosa incredibile è che nel decennio 1999-2008 siano cresciuti di 11 volte. Incredibile visto che non è aumentato il numero dei deputati e dei senatori di eleggere, e soprattutto perché, visto che i rimborsi sono relativi ai voti ottenuti, gli elettori che hanno votato sono diminuiti nel tempo, con la graduale disaffezione alla “politica”, ossia al sistema dei partiti.
Su come siano spesi successivamente, però, non ci sono controlli, o meglio, non c’è la possibilità di controllo: «Molto spesso noi riceviamo dei bilanci sui quali è apposta una firma, quella dell’amministratore del partito, ma non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un’assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona». E’ quanto dichiara Paolo Bracalini, uno dei cinque revisori di Camera e Senato. Che, se vogliamo è una sorta di aberrazione contabile, visto che si tratta di fondi pubblici.
Un’altra aberrazione però è stata introdotta nel 2006, dalla legge 51: da allora, se la legislatura si interrompe prima della fine (in Italia la media è di due anni e mezzo, ndr), i rimborsi sono versati per tutti i cinque anni. Cioè, tradotto letteralmente in soldoni, se ci sono elezioni anticipate, i rimborsi arrivano due volte, e per intero.
Da qui la spinta sempre più forte, “dal basso” ma difficilmente digerita “dall’alto” nel sistema partitico, di riformare il meccanismo: attualmente, infatti, i rimborsi non si riferiscono alle spese effettivamente sostenute e certificate, ma ai voti ottenuti. E, a titolo di esempio, può capitare che la Lega (le cui spese elettorali sono tra le poche certificate dalla Corte dei conti) abbia spesso alle ultime elezioni 100 euro per ogni voto, ricevendone oltre 1.400.
Quando si parla di costi della politica questi sono senz’altro tra i più grandi, oltre che i più opachi. E dove c’è opacità, c’è sempre la possibilità di manovrare a piacimento. Riformare il sistema, e renderlo completamente trasparente. Partendo da qui sarebbe già un buon inizio.
(pdv)