Parole popolari nell’epoca Mario Monti

19 febbraio 2012 | 19:11
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Parole popolari nell’epoca Mario Monti

di Emanuela Medoro –  Poco prima dell’inizio del governo Monti cominciarono a circolare con insistenza le parole bund e spread, di difficile comprensione  per chi fosse poco pratico di rapporti con la Germania e la sua Cancelliera di ferro operante nella dimensione europea, minacciose e foriere di tempeste per molti. Però eravamo quotidianamente rassicurati sulla tenuta del sistema finanziario italiano ed europeo: i ristoranti sono pieni, tutto va per il meglio, meno male che ci sto io. Oggi è l’esatto contrario.

Subito dopo l’inizio del governo “tecnico” Monti, a quelle parole minacciose in tedesco, se ne sono aggiunte tre in italiano, abbastanza chiare nel significato teorico, un po’ meno in quello pratico: rigore, equità e crescita. Come non essere d’accordo su questi elementari principi di appartenenza ad una comunità civile e di giustizia sociale? In pratica tagli agli sprechi, manovre finanziarie da lacrime e sangue. Niente candidatura per i giochi olimpici, questa rientra nella parola rigore declinata con lungimiranza, considerando gli sprechi enormi di danaro pubblico e la devastazione del territorio che ne sarebbe derivata, per il decennio a venire. A Roma per ora niente circenses, dunque, speriamo resti il pane. Rigore ed equità finora hanno significato anche guerra aperta, senza sosta e con tutti i mezzi all’evasione fiscale, con grande soddisfazione della classe media a stipendio fisso che paga i suoi tributi fino all’ultimo centesimo, senza sconti. In breve, abituati per decenni alla faciloneria delle spesa pubblica, passiamo ad un regime di rigore diffuso che fa sì che siamo contenti quando vediamo apparire un cedolino della pensione che non delude le nostre giuste attese. Per la crescita ancora non si è capito bene cosa ci aspetta.

Alla frase evasione fiscale si accompagnano spesso le parole illegalità, corruzione e malaffare, che, secondo la Corte dei Conti ci costano 60 mld l’anno, “fenomeno dilagante, dimensioni di gran lunga superiori a quelle che vengono alla luce”.

Sfogliando le pagine di Facebook, nelle conversazioni virtuali emerge la parola banchiere, che insieme alle espressioni poteri forti e sistema finanziario, è diventata quasi un sinonimo di satana, si pensa che le banche e le loro politiche più o meno sagge, spesso spericolate, di accumulazione ed uso del capitale siano la causa prima di tutti i mali.

Insieme alla recente diffusione di queste parole, ho notato che è diminuita la frequenza d’uso della parola – spauracchio comunista, fino a tempi recentissimi ancora appassionatamente usata da tanti benpensanti come un insuperabile muro di confine mentale. Sebbene vuota di significati reali da almeno trent’anni, o forse di più, molti hanno usato questa parola, spesso in composti fantasiosi o accompagnata da aggettivi, ad indicare un modo di essere socialmente ed umanamente spregevole. Parimenti scende nell’uso dell’italiano parlato la parola solidarietà, sale invece merito, accettabile l’idea, a patto che il merito sia valutato con correttezza  ed acume da gente di solida cultura.

Ricompare con una certa frequenza anche una frase dal significato oscuro e minaccioso:  “congiura giudaico – massonica”, usata per le politiche del governo in carica da gente che si ritiene illuminata e scaltra. L’espressione è francamente inquietante, non mi piace, sa di realtà che sfuggono ad ogni trasparenza, di complotti, sette segrete e, soprattutto, di razzismo nelle sue manifestazioni più cupe e sanguinarie. Non voglio credere che ci siano in giro oscure congiure. 

Sopra a tutte ricorre la parola lavoro, accompagnata da disoccupazione, sottoccupazione, mobilità, precariato, sfigato. Queste parole non hanno bisogno di commenti. Sono una realtà scottante, dolorosa, piena di imprevisti. Riusciranno i sapienti della “Bocconi” a dare un svolta positiva a questa tragedia? Per loro sarebbe un vero titolo di merito,  socialmente utile.