
Avezzano, 2 mar 2012 – Stasera sbarca al Teatro dei Marsi uno degli adattamenti più intriganti e coinvolgenti degli ultimi tempi artistici: Uno nessuno e centomila, tratto dal romanzo omonimo di Luigi Pirandello, apice culturale novecentesco.
Cauteruccio per la primissima volta, decide di rimaneggiare la cifra pirandelliana, e sceglie per l’occasione uno dei romanzi più celebri dell’autore italiano. Egli è inoltre l’interprete principale, nel ruolo di Vitangelo Moscarda ed è affiancato dalla talentuosa Monica Bauco, nei panni dell’amante Anna Rosa, nonché dalla giovanissima attrice Laura Bandelloni, nel ruolo del personaggio pirandelliano della moglie, Dida. Altre presenze artistiche e attoriali saranno sulla scena unicamente in qualità di presenze incorporee, oltre alle voci fuori campo di Irene Barbugli, di Roberto Gioffré, Riccardo Naldini, Tommaso Taddei ed, infine, di Carlo Salvador.
Interessante l’ambientazione: un luogo metafisico, trasparente, abitato da voci, suoni ed oggetti vari. Il Protagonista, Fulvio Cauteruccio, serpenteggia fra sedie dislocate in cima ad una pseudo-scala, ove troneggia il suo alter ego, ossia la bella Anna Rosa, immersa nel nero senza forma d’un buco vuoto. Il personaggio di Dida, invece, è quello d’una giovane donna che lo stesso Manfridi (colui che ha dato vita all’adattamento teatrale del romanzo) dipinge come un "simulacro di erotica mondanità".
Ciò che viene messo in scena è lo sprofondamento languido e surreale nell’io malandato del protagonista; viene messa in luce la sua lucida follia, fino ad arrivare alla visione finale, che lo vede completamente interrato, sino al collo, simbolo della debolezza dell’uomo. Bellissima la metafora concretizzata sul palcoscenico dello specchio: onnipresente occhio indagatore dell’umana specie, che pone la verità innanzi agli occhi, come lampo abbagliante e convincente.
I fratelli Cauteruccio, insomma (la regia è, infatti, di Giancarlo Cauteruccio fratello di Fulvio) fanno convergere in quest’opera recitata tutta la fisicità e il duello corpo-spazio che negli anni ha caratterizzato il loro modo superbo di far teatro. (G.C.)