Le donne italiane lavorano poco e vengono uccise molto

8 marzo 2012 | 06:59
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Le donne italiane lavorano poco e vengono uccise molto

L’Aquila, 8 mar 2012 – Nel febbraio che ha preceduto il marzo delle donne abbiamo visto la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia scontrarsi con la Cgil di Susanna Camusso sull’articolo 18; Lorenza Lei, direttore generale della Rai ha dovuto misurarsi con la bufera della clausola che nei contratti Rai includeva una possibile maternità come elemento di pregiudizio per mantenere il posto di lavoro; la ministro Elsa Fornero è diventata uno dei personaggi simbolo del governo Monti. Donne che, nei vari gradi di efficacia e condivisibilità nei loro ruoli istituzionali, contribuiscono alla vita politica del nostro paese. 

Ma per una Marcegaglia, una Fornero o Camusso c’è una maggioranza di altre donne che deve fare i conti con una situazione di svantaggio nel mercato del lavoro che recentemente è stata documentata nella relazione “Il lavoro femminile in tempo di crisi” a cura dell’Istat, presentata in occasione del recente convegno del Cnel "Stati generali sul lavoro delle donne in Italia". 

La quota di donne inattive che «non cercano attivamente lavoro, ma sono subito disponibili a lavorare», in Italia, è quasi 4 volte più elevata che in Europa (16,6% rispetto al 4,4%). Sono «donne scoraggiate», dice la relazione di Linda Laura Sabbadini, direttore del dipartimento Statistiche sociali e ambientali dell’Istat. La distanza, secondo l’Istat, è ancora più forte in confronto ai principali Paesi europei.

«Il principale fattore di discriminazione è la troppo scarsa partecipazione delle donne italiane al M.d.L. (mercato del lavoro)» così Giuseppe Casadio, Presidente II Commissione Cnel, che assicura anche che la discriminazione di genere è in via di superamento, lo dimostra «una lettura comparata degli indici quanti-qualitativi della situazione italiana in rapporto a quelli degli altri paesi europei; tutti, non solo quelli con le migliori “performances”». 

E’ vero quindi, sempre secondo Casadio, che sulla situazione donne/lavoro oggi in Italia «si produce più cultura» ma da questo ovviamente non discende in automatico un cambiamento, tali «elaborazioni non incidono – non in misura significativa- nelle sedi e nei momenti della decisione politica». 

L’auspicio è quello di vedere segni tangibili dalla imminente riforma del lavoro, un’occasione per affrontare senza esitazioni la "discriminazione di genere" che continua ad esistere e quindi deve essere affrontata con strumenti adeguati, dal governo centrale e dalle istituzioni locali.

Ad oggi invece l’Istat sintetizza brutalmente che l’Italia nel 2010 è penultima nella classifica europea per il tasso di occupazione femminile con il 46,1%. E il tasso di occupazione femminile diminuisce all’aumentare del numero di figli. Non a caso il 71,9% delle ore dedicate al lavoro familiare (lavoro domestico, di cura e di acquisti di beni e servizi) dalle coppie di occupati è a carico delle donne, anche se nel tempo l’asimmetria uomo/donna è diminuita: in 20 anni tra le coppie di occupati con figli è scesa dall’80,6% del 1988-89 al 72% del 2008-09 (-12 punti percentuali) perché: le madri hanno tagliato 37′ di lavoro familiare (da 5h48′ a 5h11′) e i padri lo hanno incrementato di 26′ (da 1h34′ a 2h00′). Piccolissimi segnali che appunto possono far sperare in ulteriori conquiste, ma per le quali è necessario non dare ancora nulla per scontato. Infatti l’Italia del 2012 è allo stesso tempo, secondo Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, uno dei paesi dove ogni tre giorni una donna viene uccisa per mano del proprio partner, tanto da far parlare di femminicidio, questa «è la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni», ha dichiarato Manjoo. Tornano allora alla mente le notizie di cronaca delle violenze di cui si è parlato sui giornali nazionali (L’Aquila, Cosenza, Roma, Brescia) e tutte quelle di cui non si parla. Ma qui si apre ancora un altro capitolo e altre considerazioni su tutta la strada che abbiamo ancora da fare, uomini e donne. di Alessia Moretti

DONNE, SUD E LAVORO: L’ABRUZZO SOPRA LA MEDIA – Il dossier Svimez su "La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud" di Luca Bianchi e Giuseppe Provenzano sul lavoro delle donne nel Sud Italia nel 2010 tra i 15 e i 34 anni dice che meno di una su quattro, pari al 23,3%, lavora regolarmente. Fa eccezione l’Abruzzo dove, rispetto alla media, risulta occupata regolarmente una donna su due, in Calabria e Puglia una su tre, e in Campania solo una su quattro.

Più in generale le giovani sarde e abruzzesi registrano un tasso di occupazione di poco inferiore alla media nazionale (38%), rispettivamente del 36% e 35%. Mentre vanno decisamente peggio tutte le altre: 29% in Molise, 27% in Puglia, 24% in Basilicata. Agli ultimi posti le donne calabresi (21%), siciliane (20%), fino alle campane, fanalino di coda (17,9%). 

Se quindi in Lombardia è occupata regolarmente una donna su due (51%), in Molise e Puglia meno di una su tre, in Basilicata, Calabria e Sicilia meno di una su quattro, fino alla Campania: qui fra le under 34 lavora regolarmente una su cinque. Situazione critica anche se si considerano le donne under 64: qui il tasso di occupazione è del 30,5%, pari a meno di una su tre. Un divario dal resto d’Europa di quasi trenta punti (la media europea nel 2010 e’ 58,2%). A livello regionale si conferma la stessa dinamica registrata per le giovani: in testa abruzzesi (44%) e sarde (41,8%), seguite da molisane (39%), lucane (35%), calabresi (30%) e pugliesi (29%). In coda, siciliane (28%) e campane (25%). 

DONNE NEI CDA, L’ITALIA AGLI ULTIMI POSTI CON 6.1%. IN FRANCIA 22.3% Anche dal Commissario europeo alla Giustizia, Viviane Reding, arrivano altri dati che illuminano la situazione già descritta. In un’intervista del 5 marzo a Welt ha evidenziato come le aziende europee abbiano disatteso gli impegni a dare più spazio alle donne nei Consigli di amministrazione. «Purtroppo nella maggior parte dei Paesi dell’Ue non si muove quasi nulla. Di questo passo ci vorranno ancora 40 anni per arrivare ad un rapporto equilibrato del 40% di donne», ha avvertito, «dalla fine del 2010 ad oggi siamo appena passati dal 12% al 14%». Il commissario europeo sottolinea che l’obiettivo che aveva posto era quello di portare la percentuale di donne nei posti di comando dell’economia «al 30% entro il 2015 ed al 40% nel 2020. A dispetto del fatto che il 60% dei laureati sono donne, la loro percentuale nei consigli di sorveglianza delle aziende e’ di appena il 12%».

Reding cita statistiche europee dalle quali risulta che «l’88% dei cittadini considera inaccettabile che le donne non abbiamo le stesse opportunita’ degli uomini a parita’ di capacita’ professionali, mentre il 75% chiede una misura legislativa a favore delle quote». Il Commissario conclude che «finora in due terzi dei Paesi membri non e’ cambiato nulla, si tratta di una cosa assolutamente insufficiente e ridicola». Da una statistica del 2012 sulle aziende europee quotate in Borsa risulta una media europea di donne nei Consigli di amministrazione pari al 13,7%, con una punta massima del 27,1% in Finlandia, con la Svezia al 25,2% e la Francia al 22,3%. Germania e Gran Bretagna sono al 15,6%, con l’Italia agli ultimi posti tra i 27 Stati dell’Ue ed una percentuale del 6,1%, davanti a Portogallo (6%), Lussemburgo (5,7%), Ungheria (5,3%), Cipro (4,4%) e Malta (3%).

[Nella foto Ansa, i volti di alcune delle donne uccise in Italia nell’ultimo periodo, da uomini a loro vicini, in vario modo]