
L’Aquila, 13 mar 2012 – Riceviamo e pubblichiamo una nota di Policentrica onlus sulla questione dell’erigendo auditorium nel parco del Forte spagnolo, progettato dall’architetto Renzo Piano e finanziato dalla Provincia di Trento per quasi 7 milioni di euro. «[…] cittadini aquilani si sono trovati da un giorno all’altro con l’accesso al Parco del Castello transennato per l’avvio della perimetrazione dell’area. Questo perché l’amministrazione ha scelto di non condividere il percorso travagliato di questa struttura, dalla progettazione iniziata a fine 2010 fino ad oggi.
Già da tempo si era aperto il dibattito sulla localizzazione della struttura, che nell’ottica del progettista è considerata temporanea. Tale dibattito non si è svolto, come sarebbe stato opportuno, in un contesto pubblico, ma è avvenuto come scambio di opinioni dei cittadini attraverso i social network. Dal 26 gennaio il Comune dell’Aquila si è dotato di un regolamento per la partecipazione e sarebbe stato opportuno utilizzarlo, per la prima volta, in questo ambito per arrivare ad una scelta il quanto più possibile condivisa.
L’associazione Policentrica ha più volte sollecitato la partecipazione della cittadinanza alla discussione, affrontando anche la progettazione di un Urban Center cucito addosso alla peculiare situazione del territorio aquilano. Abbiamo condiviso con gli aquilani una visione di città “policentrica” come il nome che abbiamo scelto per la nostra associazione, a sottolineare la necessità di interventi a tutto tondo sul territorio, per dare e ri-dare respiro alle periferie vecchie e nuove; queste ultime, infatti, inglobate in un non-progetto, nel quale la dispersione e la non-funzionalità, regnano sovrane, si stanno auto- catalizzando come poli senza un’identità vera e propria, senza una vision globale, senza una appropriata valorizzazione.
Innesti moderni, di pregio, auspicabili per una città che non pensi solo e meramente ad un piano di ricostruzione, ma che voglia cogliere la sfida che la distruzione ci ha posto davanti, non possono non essere discussi attentamente, magari davanti ad un vero e proprio masterplan nel quale siano comprese periferie e frazioni. Con le opportunità offerte dalle grandi firme dell’architettura moderna, l’intero territorio può avvantaggiarsene, essendo, ciascuna parte, un tassello qualificante di un puzzle condiviso.
La stessa condivisione/discussione, andrebbe accelerata anche per altri progetti per i quali, essendo coinvolte parti cospicue della città e per di più zone verdi, andrebbe disegnato l’insieme degli interventi».
ETTORE DI CESARE: RENZO PIANO,L’ENNESIMA OCCASIONE PERSA – «Al di là degli aspetti controversi della (non) temporanea realizzazione dell’auditorium di Renzo Piano, mi sembra che l’intera operazione sia la cartina di tornasole dell’incapacità, prima culturale che politica, dei nostri amministratori di comprendere alcuni dei passaggi fondamentali della ricostruzione. L’opera poteva e doveva essere vissuta dalla popolazione come il primo simbolo della rinascita, una struttura dedicata alla cultura e progettata da uno dei maggiori architetti del mondo. Un nuovo elemento identitario per una città che deve rifondarsi, un elemento di coesione comunitaria, fattore indispensabile per la ricostruzione dei nostri territori. L’occasione giusta insomma per aprire un confronto cittadino e riflettere insieme su come ricostruire e come reinventare la città: il suo significato dopo il trauma, la sua cultura, la sua economia e il suo posto nel mondo. E anche un modo per confrontarci su innesti ragionati di architettura contemporanea nel tessuto storico. Nella ricostruzione dei nostri centri infatti non mancheranno nei prossimi anni casi simili. Questo tipo di operazioni hanno da sempre aperto dibattiti internazionali anche aspri: dal Centre Pompidou dello stesso Renzo Piano nel centro di Parigi al Museo di arte contemporanea (MACBA) nel cuore di Barcellona. Si doveva quindi stimolare per tempo una sincera stagione di partecipazione aperta a tutti i cittadini, in cui potersi confrontare su questi temi. Dare il tempo a tutti di metabolizzare e, eventualmente, modificare le scelte, inserirle in un contesto di pianificazione generale del territorio, magari con la partecipazione dello stesso Renzo Piano. Un dibattito che doveva avere risonanza nazionale per dimostrare l’esistenza di una comunità aperta al confronto e per far parlare della nostra città, almeno per una volta, in termini progettuali. L’occasione per elevare il dibattito cittadino dalla rissa al ragionamento, in cui si potesse iniziare a costruire una visione riconoscibile e condivisa del nostro futuro per tornare a guardare con fiducia a noi stessi e alla rifondazione della città. Invece nulla di tutto ciò, anzi tutto il contrario: una scelta di forte impatto, non solo ambientale ma anche culturale, calata dall’alto inevitabilmente produce spaccature e impoverisce il livello del confronto. Proprio quello che non serve. L’ennesima occasione persa: del resto capire il valore determinante della partecipazione e mettere al centro il coinvolgimento della popolazione come fattore indispensabile per la ricostruzione è un’attitudine politica e un atteggiamento culturale lontani dalla nostra attuale classe politica. E non ci sono regolamenti della partecipazione che tengano. Peccato».