Auditorium Renzo Piano: un’occasione persa di confronto

L’Aquila, 15 mar 2012 – di Errico Centofanti – Com’è largamente noto, nel parco del Forte Spagnolo è stato attivato il cantiere per la costruzione dell’auditorium firmato da Renzo Piano. S’è cominciato a parlare della cosa dopo pochi mesi dal terremoto del 6 Aprile 2009. Il 21 Dicembre del 2010 sono state illustrate le caratteristiche dell’opera nel corso di una conferenza-stampa svoltasi a Trento.
Fin da subito è affiorato un variegato corollario di perplessità e anche di radicali contrarietà, per quanto riguarda l’ubicazione prescelta. Ne sono scaturiti pure ricorsi alla magistratura, ma certamente non è compito della giurisdizione dirimere questioni riguardanti l’universo della sensibilità culturale e civile della comunità. Avrebbe dovuto svilupparsi un approfondito e serio confronto pubblico sull’opportunità di confermare o modificare la scelta localizzativa. Invece, dopo piú d’un anno di requie, entrano in scena reticolati e ruspe.
Ovviamente, è ormai troppo tardi per sospendere i lavori e attivare una riflessione in extremis. Forse, è giusto così. E, forse, no. Non lo sapremo mai, come in Val di Susa, perché un leale e documentato confronto tra i differenti punti di vista non c’è stato. Dunque, l’auditorium firmato da Renzo Piano lo vedremo svettare nel parco del Forte Spagnolo tra la fine d’Agosto e l’inizio di Settembre, sempre che venga rispettata la scadenza di 180 giorni fissata dal bando di gara per il completamento dei lavori. Tuttavia, la vicenda lascia perdurare qualche perplessità e offre almeno un insegnamento.
Il cuore della problematica non sta nella scelta del centro storico per la localizzazione dell’auditorium, ma nell’elezione di quel posto lì. Il massimo di modernità inserito tra l’antico, con buon gusto e rispetto delle volumetrie consolidate, è fonte di risultati eccellenti. Lo dimostra la piramide di Ming Pei davanti il Louvre e sopra tutto è quel che andrebbe fatto all’Aquila, innestando il nuovo nell’antico recuperabile e risanato, esattamente come scelsero di fare i nostri antenati dopo il terremoto del 1703. Ma, perché scegliere proprio quel posto lì, dove la cornice di verde e quiete intorno al Forte Spagnolo risultava del tutto appropriata, pur se bisognevole di venir meglio e regolarmente accudita?
Una struttura come l’auditorium avrà necessità di un adeguato corredo di parcheggi. Perché è stata cantierizzata l’intera ellisse prospiciente il Forte Spagnolo e non solo la metà in cui deve sorgere l’auditorium? Se la ragione sta nell’averne previsto un destino di pozzanghera lastricata di latta semovente, appare saggio aver privato bambini, anziani, turisti e tutti i frequentatori del parco di quell’oasi di serenità?
La Provincia di Trento è la donatrice dei fondi per la costruzione e nulla può sminuire il pregio di questo benemerito gesto solidaristico. Tuttavia, perché la nostra comunità non ha avuto alcun ruolo nella vicenda (se non decisionale, almeno consultivo), considerando che sempre di soldi anche nostri si tratta, data la provenienza dai fondi europei, quelli che in Abruzzo da sempre non siamo capaci di utilizzare, fatto salvo il marginale impiego a pro di mossette sperperatrici?
La forma è sostanza, in architettura e non solo. Ora, la forma inventata da Renzo Piano (tre cubi inclinati, dei quali il principale destinato alle esecuzioni e gli altri due a foyer e camerini per gli artisti) ispira qualche esitazione circa il nesso causa-effetto tra sostanza delle funzioni e forma dell’architettura che queste accoglie e deve esprimere. Ma, Renzo Piano è uno dei più famosi e ammirati architetti del mondo, al quale va accreditata una sapienza creatrice intangibile da qualsiasi sospetto di formalismo fine a se stesso.
L’entità della spesa prevista è di 6 milioni di euro. Ne verrà fuori una sala per 240 spettatori, al costo di 25.000 euro per ciascun posto: un conto non particolarmente sobrio, tenendo conto della disponibilità a titolo gratuito dell’area e della futura necessità per il Comune dell’Aquila di provvedere al finanziamento per le opere di urbanizzazione e per le attrezzature e gli arredi dei due cubi minori, il che forse vorrà dire ritrovarsi davanti un’ennesima incompiuta.
Nella conferenza-stampa del 21 Dicembre 2010, il progetto è stato presentato con dovizia di particolari che lasciano presagire una meraviglia estetica e tecnologica. Una meraviglia definita come opera semplicemente provvisoria. La provvisorietà sarebbe stata comprensibile e opportuna nell’immediato post-sisma. Ma, a distanza di tre anni, che senso ha seguitare a parlare di provvisorietà? Nessuno concepirà uno smantellamento o un trasloco, finché un’opera tanto (e legittimamente) ambiziosa conserva la capacità di mantenersi in piedi. Solido e efficiente come è stato progettato, l’auditorium di Renzo Piano resterà per secoli lí dove lo si sta costruendo.
L’insegnamento fondamentale di questa vicenda sta nell’imperdonabilità del non aver saputo imporre il metodo vincente adottato in Friuli e in Umbria dopo le rispettive devastazioni sismiche: comunità e municipalità, dialoganti e cooperanti, protagonisti assoluti nella progettazione del proprio futuro. È un insegnamento che non andrebbe gettato alle ortiche. Se ne può trarre, invece, lo spunto affinché venga finalmente applicata una linea-guida razionale e fattiva per il nostro agire d’ora in avanti. È tardi, ma non è mai troppo tardi.