Le montagne della luna. I fiori di cardo

27 marzo 2012 | 14:07
Share0
Le montagne della luna.  I fiori di cardo

[i]I confini sono fatti da coloro che li attraversano[/i]”, Eric J. Leed.

Ma anche dai taccuini, dalle impressioni di viaggio con la lente della tradizione popolare, dell’etnofotografia e l’antropologia culturale, storica, che evidenziano lo spessore culturale dei luoghi e la loro portata. E, appunto, nel “viaggio”, il professor Vincenzo Battista proverà a mostrarci in cinque parti, di questo nuovo appuntamento nell’area geografica del Gran Sasso, i “confini”, le resistenze e le flessioni di uomini e cose, di un paesaggio magico, le montagne della luna, così come possono apparirci, davanti a uno sconosciuto Gran Sasso.

I fiori di cardo sopra l’arco di pietra

{{*ExtraImg_31980_ArtImgRight_300x404_}}[i]di Vincenzo Battista[/i] – “Quelli dell’elettricità…” avevano detto di noi, in un paese dell’immaginario, appena percepito, che dopo il lungo rettilineo ci siamo trovanti davanti: muto, ovattato dai suoni, spento su quella straordinaria quantità di neve che lo aveva avvolto, ricoperto come da secoli e secoli, e le pietre lo sanno, fin dalla sua fondazione, ma ancora in vita: quella è la sua vocazione, il suo Dna, in queste doline lunari, in queste montagne della luna e piani carsici allungati a forma di cucchiaio, del versante occidentale del Gran Sasso d’Italia.

Un labbro più giù di Campo Imperatore che “chiude” come le regioni artiche in attesa della primavera, e sotto, nient’altro che neve, ancora per mesi e mesi, fino al disgelo che avrebbe captato il bit, il segnale, di una comunità antica ripiegata in letargo, nei limiti di un’economia di sussistenza, chiamata Santo Stefano di Sessanio, 138 donne, 110 uomini e 5 bambini che frequentavano la scuola elementare, tutto questo a 28 chilometri da L’Aquila, direzione est, 1251 metri di altezza.

{{*ExtraImg_31981_ArtImgLeft_300x420_}}Camminavamo, allora, ma non siamo “quelli dell’elettricità”, dentro un dedalo di vie cordonate, a strettoia, passi tangenti le case o che seguivano le case mura come negli antichi camminamenti medievali, sopra la coltre di neve che arrivava all’altezza delle finestre piccole, dalla grata in ferro, una tipologia dei borghi del Gran Sasso, particolare, poste a fianco alla porta, in una architettura difensiva, diffidente verso “l’esterno”, criptica, che esprimeva l’uso della casa rurale e le sue valenze di protezione e rifugio.

{{*ExtraImg_31982_ArtImgRight_300x475_}}Da lì, uscivano le mani: offrivano pochi spiccioli ai bambini per togliere la neve che aveva sepolto le porte delle case, fino a lambire i fiori di cardo, secchi, messi sopra l’arco di pietra, simboli e limite invalicabile secondo la tradizione popolare contro il maligno, lo spirito che giace nel ventre del paese e poi si libera, si lamenta e vaga insieme al vento, si insinua tra i vicoli, per cercare di entrare nelle case, cambia suono e ferocia, urla la sua rabbia nei passaggi stretti, si divincola e stride nel sottoportici di via dell’arco, si aggrappa alla facciate e le stride, grida il suo rancore, sbattendo sulle imposte, scuotendole, fino dentro i camini, dove la fiamme sembrano abbassarsi a quella richiesta di entrare.

La bufera, figlia del male, ha dato battaglia, scivola sulla neve, di notte, agghiacciante nel suo epilogo, e poi, sparisce, improvvisamente lascia il borgo alle prime luci dell’alba con sopra il cielo stellato, portandosi dietro insopportabili pensieri, carichi di presagi, raccontano.

Il viaggio continua, dalla ricerca sui grandi flussi migratori, che avevano depauperato fino al limite del collasso l’ambiente antropizzato di Santo Stefano di Sessanio e le sue stesse condizioni di vita, alla straordinaria ricchezza di architettura rurale, e anche su un funerale che fu “rimandato” per la neve, insieme al “vestito della morte”, appeso su una sedia, ai piedi del letto, come voleva la tradizione “dell’attesa”. Quella casa, d’inverno, a Santo Stefano, “sotto la torre”, profumava di mele, uva secca ed erbe medicinali, e sul tavolo, insieme ai ritratti degli antenati, gli oggetti della miniera, dell’emigrazione, riportati da queste parti per aiutare a raccontare le storie personali e far bella mostra di sé, sopra un merletto a tombolo, accanto ai fiori della montagna, accanto a qualche stella alpina del Brancastello.

(Prima di cinque parti)

[Fotografie: Santo Stefano di Sessanio, di Vincenzo Battista]

[i]

[url”Torma al Network Viaggio&Viaggi”]http://ilcapoluogo.globalist.it/blogger/Vincenzo%20Battista%20-[/url][/i]