
di Daniele Iacovone* – La campagna elettorale è entrata nel vivo, e con essa è riesplosa la polemica mai sopita sul Piano di Ricostruzione. C’è chi pensa che il Piano di Ricostruzione avrebbe potuto (o potrebbe ancora) finanziare gli interventi privati relativi alle seconde case ed alle attività produttive nei centri storici.
Il Piano di Ricostruzione elaborato dal Comune dell’Aquila prevede la stima finanziaria di tutte le superfici edilizie dei centri storici (L’Aquila e frazioni): prime, seconde case e attività produttive (il cui fabbisogno finanziario per la ricostruzione supera i 5 miliardi di euro). Durante la sua redazione, però, non c’era nessuna disposizione che rendesse percorribile l’ipotesi. Anzi, la legge 77/2009, (di conversione del Decreto Abruzzo), e le successive ordinanze 3779 e 3790 escludevano chiaramente dai finanziamenti le seconde abitazioni, chiudendo la porta in faccia a chi una porta avrebbe voluto ancora averla.
Giova ricordare come nasce il Piano di Ricostruzione. Introdotto dalla legge 77, è uno strumento programmatorio che non disciplina né gli effetti giuridici ed urbanistici, né il procedimento di formazione, ma indica gli obiettivi che deve perseguire attraverso linee di indirizzo strategico (rientro della popolazione nelle abitazioni, riqualificazione dell’abitato e ripresa delle attività socio economiche). Il Commissario alla ricostruzione, con il suo successivo decreto 3 ha modificato questo strumento programmatorio, trasformandolo in urbanistico senza che la Presidenza del Consiglio avesse disciplinato, peraltro, tale aspetto con deleghe precise.
Con il Piano di Ricostruzione, il Comune dell’Aquila ha voluto tracciare il quadro economico necessario al recupero dei centri storici, per delineare le azioni da intraprendere ai fini della ricostruzione dei centri abitati e per definire la visione strategica per la ripresa del territorio. Altro obiettivo era di far conoscere al governo una stima di massima degli interventi ai fini della spesa, anche in seguito alla lentezza della struttura commissariale.
Il Comune chiede anche una ripartizione proporzionale delle risorse all’interno del cratere, in considerazione della più alta percentuale di popolazione ancora fuori dalle proprie abitazioni nel suo territorio (circa 27.000 abitanti) e della maggiore intensità del sisma (e dei danni) concentrata nel capoluogo e nelle sue frazioni. La ripresa dell’Aquila trascinerebbe con sé anche quella dei comuni della “conca aquilana”, sarebbe auspicabile, perciò, che per L’Aquila i tempi si accorcino e le risorse aumentino.
Parallelamente alla redazione del Piano e per accelerare il processo di ricostruzione, da dicembre 2010 il Comune ha proposto i piani stralcio degli interventi immediatamente attuabili nei centri storici, qualora conformi alle previsioni del Piano regolatore (Prg) vigente. Questo avrebbe consentito l’avvio dei cantieri in buona parte dei centri storici e un minor deterioramento degli immobili, ma Commissario e struttura tecnica di missione (Stm) si sono espressi a favore di un piano urbanistico unico ed obbligatorio. Chiodi non ha acconsentito all’intesa dei piani stralcio fino a quando l’opcm 3996 del governo Monti ne ha, invece, ammesso la redazione. La stessa opcm ulteriormente chiarisce, ai fini degli interventi di ricostruzione, l’applicazione delle precedenti ordinanze 3778, 3779 e 3790 anche dentro i centri storici. Nel frattempo, però, era già stato redatto il piano generale.
Un’intesa, quella che il Comune aspetta sul Piano di Ricostruzione che, se raggiunta in tempi brevi, permetterebbe di chiedere al governo nuove norme e maggiori risorse. Ma l’intesa con il Commissario non c’é. Anche se a farne le spese è un’intera cittadinanza.
*Consulente settore pianificazione assessorato Ricostruzione Comune L’Aquila