Consumi, pesce: Coldiretti “è finito quello italiano, attenzione a frodi”

21 aprile 2012 | 19:45
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Consumi, pesce: Coldiretti “è finito quello italiano, attenzione a frodi”

Roma, 21 apr 12 – Con più di due pesci su tre consumati in Italia che provengono dall’estero è evidente il rischio che venga spacciato come Made in Italy pesce importato. E’ l’allarme lanciato da ImpresaPesca Coldiretti nel commentare il rapporto della New economics foundation (Nef) e da Ocean2012, secondo cui oggi, 21 aprile, e’ il "fish dependence day" italiano, cioè il giorno in cui l’Italia inizia a essere dipendente dalle importazioni per coprire il proprio fabbisogno di pesce.

Stando al rapporto "Fish Dependence: The increasing reliance of the EU on fish from elsewhere", l’Italia e’ autosufficiente per appena il 30 per cento del pesce che consuma, a fronte del 51 per cento della media dei 27 Paesi europei. Il deficit del nostro Paese potrebbe ulteriormente aumentare per effetto della crisi che ha determinato un riduzione dei prezzi di vendita ed un aumento dei costi di produzione che per circa la meta’ sono rappresentati dal gasolio. Quindi nell’effettuare acquisti il consiglio di Coldiretti e’ di verificare sul bancone la presenza obbligatoria dell’etichetta, che per legge deve prevedere la zona di pesca, e scegliere la "zona Fao 37" se si vuole acquistare prodotto pescato del Mediterraneo. Una precauzione che purtroppo non vale al ristorante dove invece la provenienza di quanto si porta in tavola non deve essere indicata obbligatoriamente e c’e’ il rischio che venga spacciato per italiano un prodotto importato.

Le vongole – spiega la Coldiretti – possono anche provenire dalla Turchia, mentre i gamberetti, che rappresentano quasi la meta’ del pesce importato in Italia, sono spesso targati Cina, Argentina o Vietnam, ma anche il pangasio del Mekong venduto come cernia, l’halibut atlantico al posto delle sogliole o lo squalo smeriglio venduto come pesce spada. Da qui la richiesta di Coldiretti ImpresaPesca di estendere l’obbligo dell’etichetta d’origine, gia’ vigente per il prodotto che si acquista nelle pescherie o direttamente dagli imprenditori, anche ai menu della ristorazione. Una vera e propria "carta del pesce", con l’indicazione di dove e’ stato pescato quanto si porta in tavola.

Il settore della pesca – secondo dati di ImpresaPesca Coldiretti – vede impegnate 13.300 imbarcazioni, mentre la top-ten delle produzioni e’ guidata dalle acciughe (54.312 tonnellate), seguite da vongole, sardine, naselli, gamberi bianchi, seppie, pannocchie, triglie, pesce spada e sugarelli. Un patrimonio economico, sociale ed ambientale che e’ oggi a rischio con il solo l’aumento del prezzo del gasolio, rincarato del 25 per cento, che sta costando alle imprese di pesca duemila euro in piu’, mentre si fa sempre piu’ grave la stretta creditizia delle banche. Il gasolio incide fino alla meta’ dei costi di produzione e l’aumento delle quotazioni fatto registrare negli ultimi dodici mesi ha aggravato una situazione resa gia’ difficile dal contemporaneo calo dei prezzi pagati ai pescatori.

La forbice tra prezzo all’origine e prezzo al consumo – ricorda Coldiretti Impresa Pesca – si e’ sempre piu’ allargata. Mediamente su ogni euro del prezzo al consumo agli operatori di settore sono destinati solo 25 centesimi. Un ulteriore fattore di crisi e’ poi rappresentato dal problema dal cosiddetto "credit crunch", la stretta creditizia da parte delle banche. La quasi totalita’ degli istituti negli ultimi mesi ha ristretto gli affidamenti alle imprese del settore o di contro, ove possibile, ha elevato le garanzie. In questo modo – conclude Coldiretti ImpresaPesca – si stanno limitando gli investimenti nella pesca e nell’acquacoltura e togliendo la liquidita’ necessaria alle stesse operazioni di ordinaria gestione commerciale.