
[i]di Alberto Puliafito*[/i] – L’Italia è uno stato in emergenza. Vittima di uno shock prolungato durante il ventennio berlusconiano, in cui non si è fatto altro che parlare di Berlusconi (pro o contro, poco importa: se n’è parlato ogni giorno) perdendo di vista i nodi centrali dei problemi politici, è stata definitivamente terrorizzata dalla “crisi”, dallo spettro di “finire come la Grecia” o “come l’Argentina”. Dallo spread.
Addirittura, quando Napolitano nominò senatore a vita Mario Monti (sembra passata un’era geologica, ma era novembre del 2011), il Sole 24 Ore titolò a sei colonne “Fate presto”, citando esplicitamente il Mattino di Napoli che aveva utilizzato quello stesso titolo il 23 novembre del 1980, dopo il terremoto che devastò l’Irpinia.
L’analogia con un terremoto non è da sottovalutare. Del resto, L’Aquila conosce molto bene, per averlo sperimentato sul proprio territorio, sia lo stato di shock (anche di un evento sismico si parla sempre, dopo che si è verificato con tale violena), sia il significato più profondo del vivere in stato d’emergenza: L’Aquila conosce i danni della decretazione d’urgenza, la necessità, le ordinanze o i decreti legge. E conosce anche la leggenda dei “protettori”: dopo lo shock del terremoto, nel capoluogo abruzzese arrivò il salvatore Guido Bertolaso (Gianni Letta lo chiamò «San Guido») a commissariare tutto. La partecipazione fu impedita. La politica venne svuotata del suo significato.
Lo shock aveva narcotizzato gran parte della società civile, l’emergenza ha fatto il resto.
Analogamente, dopo lo shock del ventennio berlusconiano e la paura della crisi, è arrivato il salvatore Mario Monti, con il suo stuolo di angeli: i ministri “tecnici”, che impongono scelte prese per “necessità e urgenza”, hanno il volto “buono”, magari un po’ “severo”, di quelli che sanno come si fanno le cose. Hanno anche un’elevata moralità, a differenza di Berlusconi: da loro sì, che ci si può far dire quel che deve essere fatto.
L’agiografia che si costruisce attorno a questo Governo è analoga alla straordinaria macchina propagandistica che raccontò i (falsi) miracoli aquilani; non erano ammesse contestazioni, o comunque, se c’erano, venivano messe a tacere. Allo stesso modo, questa volta per l’intero Paese, ogni scelta presa dal Governo viene raccontata come la migliore delle scelte possibili. Forse, addirittura, l’unica. In ogni caso, non si può contestare.
Se un rischio per il Paese fu, nel 2009, la creazione di Protezione Civile SpA, che avrebbe gestito con poteri di ordinanza situazioni emergenziali anche in campo sociale, oggi siamo arrivati al superamento persino di quello scenario. Il governo gode di un consenso inaudito, anche sui media (a parte quelli che giocano il gioco delle parti). La politica non ha più alcun impulso vitale, non esistono opinioni diverse a confronto, non c’è dialettica, se non retorica e condita da slogan. La maggioranza anomala, guidata da Alfano, Bersani e Casini, ha addirittura il potere di modificare la Costituzione: lo ha fatto, qualche giorno fa, con l’articolo 81. Imponendo, di fatto, il pareggio di bilancio nella Carta costituzionale. Un dettame della Bce e di questo Governo-commissario.
La modifica è stata effettuata senza che i grandi analisti politici del mainstream abbiano battuto ciglio, senza che i grandi giornalisti d’inchiesta abbiano pensato di sospendere la loro ossessione per le carte delle Procure per dedicarsi a un minimo di analisi. Di inchiesta sociale, diciamo così. E’ una modifica dura, che avrebbe meritato un titolo a sei colonne. Invece, niente.
Il pareggio di bilancio in costituzione, per molti economisti (professori anch’essi, alcuni addirittura premi Nobel) è un vincolo limitante e recessivo. Fu bocciato anche dagli Stati Uniti quando venne proposto per il Governo federale dai Repubblicani (sì, è una misura che afferisce a un’ideologia tipicamente di destra): questo significa, quantomeno, che ci sono due punti di vista distinti, sul tema. Che il Governo italiano non detiene la verità assoluta. Del resto, lo stesso Pd di Pierluigi Bersani, che nel 2012 ha votato allineato e compatto la modifica alla Carta Costituzionale, aveva duramente criticato l’idea ad agosto del 2011. Ma allora c’era Berlusconi.
Adesso, invece, in nome di questo consenso emergenziale che le più alte cariche dello stato chiamano, impropriamente, senso di responsabilità, vale tutto. Si possono imporre scelte di ogni genere facendo credere che siano le uniche possibili. Si può consegnare l’Italia all’ideologia neoliberista negando che si tratti di scelte ideologiche, e lo si può fare addirittura da sinistra.
Il che, più che un pareggio di bilancio, appare una clamorosa sconfitta della politica etica e della società civile. Un duro colpo dal quale sarà difficile rialzarsi. Una riscrittura totale della geografia sociale italiana. Esattamente come l’emergenza post-terremoto ha riscritto integralmente la geografia fisica e sociale dell’Aquila.
[i][i]L’Aquila è stata teatro di un esperimento per un certo tipo di gestione del potere. Oggi lo è anche l’Italia. Il metodo si potrà espandere, perché sta funzionando.[/i][/i]
* Giornalista e regista di Comando e Controllo. Già editorialista de ilfattoquotidiano.it