La città senza urbanistica

23 maggio 2012 | 18:39
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La città senza urbanistica

Finita la campagna elettorale e scelto il Sindaco della Ricostruzione, si passa al piano B: immaginare e disegnare la nuova città. L’ultimo anno è trascorso con l’anestesia delle imminenti elezioni e nessuna decisione, soprattutto tra quelle scomode, è stata presa, per non creare malessere e malcontento tra la popolazione. Ora si sceglie la squadra di governo, cioè la regia della programmazione.

La tematica centrale della delicata fase di ricostruzione della città dell’Aquila è sicuramente l’urbanistica e, quindi, fondamentale sarà l’assessore competente. Il post sisma ha brutalmente evidenziato le mancanze del piano regolatore aquilano, vecchio ed anacronistico. Il comune dell’Aquila è rimasto fermo, in ambito di pianificazione territoriale, agli anni compresi tra il 1968 e il 1977, quando cioè le esigenze abitative e di vita erano totalmente diverse. «Del resto la pianificazione degli anni ’70, definita di prima generazione, – come ci dice il prof. Bernardino Romano dell’Università degli studi dell’Aquila – serviva a raggiungere determinati esiti di crescita, senza sensibilità e maturità per affrontare tematiche che si sono imposte successivamente, come gli elevati requisiti ambientali e la sostenibilità in campo edilizio, urbanistico, energetico e trasportistico.

In termini di classifiche – ha aggiunto il professore – il comune dell’Aquila appartiene a quella sparuta minoranza di capoluoghi di provincia (meno di 10 su quasi 120, di cui la maggior parte in avanzata fase di rinnovo) e a quel 7-8% dei comuni italiani che, secondo i dati del Rapporto dal Territorio dell’INU, è attualmente ancora fermo alla pianificazione degli anni compresi tra il 1968-77. Non è ben chiaro come una città che ambisce al blasone di Capitale Europea della Cultura non appartenga almeno a quell’80% dei comuni dell’Italia centrale che ha un piano elaborato dopo il 1985, o a quel 60% che lo ha aggiornato dopo il 1996 o a quel 40% che ha pianificato dopo il 2000.»

Il confronto con le date di ultimo aggiornamento di altri comuni affini per dimensioni e problematiche è impietoso: [i]Terni 2003, Rieti 2004, Lanciano 2011, Sulmona 2006, Teramo 2006, Chieti 2008, Pescara 2009[/i].

L’Aquila del post sisma si è sviluppata con comportamenti sociali individuali ed estemporanei, non ascritti ad una programmazione, nè urbanistica nè commerciale, che risulta essere inesistente anche laddove si sono dovuti abbattere delle porzioni di quartiere che avrebbero permesso di ridisegnare organicamente la zona, nel rispetto di tutti gli aspetti urbanistici più moderni.

«La periferia urbana dell’Aquila – afferma Romano – non viene mai presa in considerazione nelle tante esternazioni propagandistiche che si fanno sulla ricostruzione della città, come se fosse un elemento estraneo all’assetto territoriale e non si analizzano le qualità di questa periferia che, allungata per oltre 30 km (da S. Gregorio a Barete), misura quasi 10 km in più del diametro massimo del GRA di Roma (Roma ha quasi 3 milioni di abitanti), nonché circa i 3/4 delle massime diagonali urbane di Parigi o di Berlino (metropoli con, rispettivamente, più di 6 milioni e 3,5 milioni di abitanti.

Dopo il terremoto – ha spiegato il professore – c’è stata l’acquisizione, spontanea, di una fisionomia policentrica della città. La forzata e totale estromissione delle funzioni dal centro storico ha proiettato nelle periferie quella tipica gamma di servizi che danno spessore ai “centri”, cioè quelli commerciali specializzati, quelli direzionali e professionali, quelli finanziari o quelli ospedalieri.

Naturalmente un ruolo significativo è stato giocato dal trasferimento delle masse di popolazione nelle [i]new town[/i] e ricollocate in posizioni geografiche del tutto diverse da quelle precedenti. Se i servizi pubblici si sono spostati con criteri di disponibilità ed economia dei nuovi contenitori, quelli di mercato (e anche questo è uno dei “fondamentali” dell’urbanistica) hanno seguito le concentrazioni demografiche da cui traggono la clientela. La assenza di un disegno programmatico che possa pilotare questa evoluzione sta creando larghi spazi di affermazione a fenomeni attrattivi parassiti senza controllo, che sono in atto e che si rinforzeranno sempre di più irrobustendo l’attuale fisionomia delle conurbazioni maggiori.

Non avendo la possibilità, quindi, di costruire centri storici ex novo che diventano tali grazie alla stratificazione storica avvenuta nel corso dei secoli, bisogna dotare la città di altri luoghi “centrali” utili a coprire le esigenze insediative di una comunità che si evolve e che abbiano – come dice Romano – una elevatissima qualità di progettazione urbanistica ed architettonica, creando cioè attrazione con impianti ed edifici innovativi nelle forme, nei materiali e, in altre parole, nel paesaggio urbano costruito». Creare quindi una città “policentrica” che deve essere progettata in tutte le sue funzioni e servizi utili alla cittadinanza come ad esempio la mobilità, anello portante della catena dell’organismo urbanistico. «Dopo il terremoto del 6 aprile c’è stata l’acquisizione, spontanea, di una fisionomia policentrica molto più accentuata. “Spontaneamente” appunto, cioè senza una guida dei processi e quindi con una enorme incertezza negli esiti. Naturalmente un ruolo significativo è stato giocato dal trasferimento delle masse di popolazione nella [i]new town[/i].

Il territorio aquilano – conclude l’urbanista – viene, senza un efficiente piano programmatico, mangiato quotidianamente dalle costruzioni selvagge che stanno invadendo le pianure esponendo l’ambiente a rischi idrogeologici e rendendo, in un futuro prossimo, molto più complicata un’azione di pianificazione e riordino del connettivo urbano. La periferia aquilana deve essere ripensata in termini urbanistici che prevedano un accordo sulle tipologie volumetriche, le finiture e i colori da utilizzare per gli esterni. Senza questa programmazione si perde un’occasione clamorosa di miglioramento della funzionalità e dell’estetica della città».

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