Ospedale Bambino Gesù. Quando entri e resti senza fiato

Il Gianicolo, per me, è sempre stata meta d’amore. I primi baci tutti lì. I profumi della primavera. I fuochi su Roma a Capodanno. Gli abbracci. Le passeggiate estive. La musica dei mille alberi, grande orchestra. L’acqua, un suono leggero.
A quell’ospedale non fai caso. Se sei lì per guardare Roma e per il gusto unico che hanno, solo in quel luogo magico, certe promesse, certi sogni, a quell’ospedale non presti attenzione. Non lo vedi.
Se invece è in quell’ospedale che devi andare, stringendo una manina nella tua, è Roma e tutta la sua eterna bellezza che non vedi più.
Bambini. In un ospedale pediatrico dovresti vedere solo bambini. Non ci sono.
Ci sono tanti corpi infantili; gli sguardi no, però. Quelli sono traditi. Il dolore e la paura hanno bisogno di pelle dura da solcare. Le guance, la fronte, le labbra piccole non sono fatte per urlare. Le labbra dei bambini sono fatte per gridare capricci e meraviglia, le mani sono fatte per pensarsi grandi e afferrare mondi e futuri, tanti, tutti.
Non è fatto, lo sguardo di un bambino, per farsi maschera e fare forza a mamma e papà.
Non sono fatte, le nocche delle mani, per contrarsi intorno ai giochi che non portano più via, non distraggono, non illuminano occhi e notti pazze di paura.
E’ fatto per credersi immortale e unico, ogni bambino.
E’ fatto per le linguacce e le botte da orbi.
E’ fatto per gli zeri spaccati e per gli occhi alzati al cielo della maestra disperata.
E’ fatto per le indigestioni di gelati e il mal di pancia che domani passa e non tornerà più.
E’ fatto per le stelle e per la luna, per l’amico del cuore, per il primo e dolorosissimo amore.
E’ fatto per vivere, un bambino.
Tiziana Pasetti
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