
di Alessia Moretti
Emilia. In diretta dall’epicentro del sisma, vita in tendopoli, orgoglio e dignità, paura, voglia di ricostruire e disperazione, morti, dolore.
L’emergenza è iniziata: quintali di scatolette, biscotti, indumenti, spazzolini, coperte che arrivano e vengono distribuite ai “terremotati”, viveri in abbondanza, talvolta superflui, sprecati.
Certo dà un po’ di conforto sapere che c’è qualcuno che ti sta vicino e si prende cura di te.
La macchina della protezione civile, intanto, pensa a tutto. Tu, terremotato, stai lì…ad aspettare.
Poi inizi a capire che il problema non è solo il pranzo e la cena di questi giorni. La tua vita esiste comunque, continua a scorrere anche se tu, per un po’, non riesci a starle dietro, sei terremotato.
Ma poi la realtà ti chiederà il conto: devi essere un cittadino normale e allo stesso tempo fare fronte ad una situazione straordinaria, per anni.
Ricordo quello che dicevano i Vigili del fuoco accompagnando gli aquilani nelle loro case distrutte per recuperare quanto si era salvato dai crolli. Una volta entrati in casa, in genere, si era assaliti da una forma di panico, nausea.
Nulla era più al suo posto e tutto ti sembrava inutile. I Vigili del fuoco, invece, ti dicevano “ma no, prendi anche quel paio di scarpe, ti servirà”, oppure, “sicuro che non vuoi portare con te anche quel quadro, quel libro”. Loro sapevano che poi quegli oggetti ti mancano, quando il tempo inizia a passare. Avevano ragione.
Come essere d’aiuto, ci chiediamo: con le donazioni, acquistando il parmigiano, partendo per incontrare chi ha bisogno di una parola di sostegno? Sì tutto questo va bene. Ma facciamolo anche dopo.
Dosiamo bene le forze anche dei tanti volontari “irregolari” e volenterosi, al di fuori delle truppe in partenza con esercito e corpi di soccorso.
Il terremoto non dura solo il tempo di una scossa o le ore subito dopo, mentre si scava tra le macerie, o si approvano i decreti, quando scorrono le prime immagini di gente terrorizzata che dorme in auto o vive nelle tendopoli.
Ci sono i mesi e gli anni (nel caso dell’Aquila) dopo, in cui le tendopoli si svuotano, restano meno persone, ci si trasferisce in abitazioni “provvisorie”. Non ci si ricorda più con precisione quello che è accaduto: “Ah, L’Aquila, Onna, San Gregorio, Finale Emilia, Medolla, Cavezzo? Dove c’è stato quel terremoto? Ma adesso è passato tempo. E’ tutto a posto, no?”.
Le televisioni e i giornali, salvo pochi, non si interessano al terremoto quotidiano.
Un mese dopo, anche se le scosse hanno “spianato” una città, il terremoto non è più in prima/home pagina, è fisiologico. La notizia non c’è più, c’è solo da rimettersi in piedi.
Il tg si ricorda di te solo se hai organizzato una manifestazione di protesta in cui c’è stato spargimento di sangue, per altro non dipendente dalla tua volontà.
Quindi?
Quindi se dobbiamo dare una mano, non pensiamo che si possa fare solo ora.
L’onda emotiva, adrenalinica, rilasciata dalla scossa coinvolge anche i soccorritori, non solo i “terremotati”.
Poi, tutto si “normalizzerà” nella percezione dall’esterno, il terremotato d’emergenza si trasforma in quello d’ordinanza (non solo nel senso del discutibile strumento legislativo), e il fronte interno resterà con i suoi problemi quotidiani, burocratici, politici, economici. Ci sarà sempre più posto, fra qualche mese, per partire, scrivere, denunciare, ricordare, testimoniare, aiutare.
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