
Roma – Modesto Di Girolamo, l’italiano rapito in Nigeria, è stato liberato. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Giulio Terzi, esprimendo la sua «grande soddisfazione» per l’esito positivo della vicenda. La «massima collaborazione» delle autorità nigeriane nella liberazione dell’ingegnere è stata sottolineata dal titolare della Farnesina che ha avuto colloqui telefonici due giorni fa con il suo collega nigeriano e ieri con il vice presidente. Terzi ha inoltre sottolineato «l’intensa attività» di tutti gli apparati dello stato coinvolti nella liberazione di Di Girolamo a cominciare dall’Unità di crisi della Farnesina.
I familiari sono stati, secondo quanto si è appreso, subito avvertiti della liberazione dall’Unità di crisi che ha costantemente seguito in questi giorni la vicenda del rapimento. «Ho il cuore che mi batte all’impazzata, non riesco nemmeno a parlare. Sia lodato Gesù Cristo che ci ha fatto questa grazia, finché non parlo con mio marito non riesco a crederci». Così, tra le lacrime, la moglie dell’ingegnere, ha commentato all’Ansa la notizia della liberazione del marito.
MOGLIE, STA BENE, SPERO TORNI PRESTO
– «Mio marito sta bene, ma purtroppo non sono ancora riuscita a parlarci. E’ ancora in Nigeria e, per il momento, non sappiamo quando rientrerà in Italia. Spero che possa tornare al più presto a casa». Sono le poche parole dette all’Ansa dalla moglie di Modesto Di Girolamo, il dipendente della società edile Borini&Prono di Torino rapito lunedì a Ilorin, capitale dello stato nigeriano del Kwara, e liberato ieri. La famiglia dell’uomo – a Rocca Di Cambio, nell’Aquilano, paese d’origine di Di Girolamo, vivono la moglie e i tre figli – riferisce di essere «in costante contatto con la Farnesina», ma, fin dall’inizio, mantiene il più stretto riserbo sulla vicenda.
FIGLIA,ANCORA PIU’FELICI QUANDO SARA’QUI
– «Siamo contenti che tutto si sia concluso nel migliore dei modi, ma lo saremo ancora di più quando papà tornerà tra di noi. Non sappiamo ancora quando, ma quello sarà il momento più bello». E’ Oriana Di Girolamo che parla, la figlia maggiore di Modesto, l’imprenditore rapito in Nigeria e rilasciato ieri. Poche parole nel rispetto del riserbo consigliato in questi casi dalla Farnesina. Da ieri l’intera famiglia si è asserragliata nella casa paterna, una villetta a due piani poco fuori dal paese, sulla strada che porta all’Aquila, in attesa del ritorno del capofamiglia. «I funzionari della Farnesina ci hanno detto che ormai il peggio è passato e che tra poco potremo riabbracciare papà, ma ancora non sappiamo quando», spiega la signora Oriana, la più grande dei tre figli dell’ingegnere, che vive insieme a suo marito e alla figlioletta in un Map del paese, dopo che la sua casa nel centro storico è rimasta gravemente lesionata dal terremoto. Intanto il paese si prepara a festeggiare il ritorno di Modesto Di Girolamo. E già da questa sera il Consiglio comunale straordinario indetto dal sindaco, Gennarino Di Stefano, per stare vicino alla famiglia, è stato trasformato in una piccola festa. Nel corso dell’assise che comincerà alle 18.30 sarà approvata anche una delibera di congratulazioni rivolte a tutte le persone e le autorità che si sono adoperate affinché la storia avesse un lieto fine.
ARLACCHI (PD), BENE TERZI, VALIDO METODO ITALIANO – «La positiva conclusione della vicenda del rapimento dell’ingegnere italiano in Nigeria è un’ulteriore conferma della validità del metodo italiano di fronteggiare questo tipo di crisi. Va dato pieno merito al ministro Giulio Terzi di avere applicato con fermezza questo metodo, indicando nella incolumità dell’ostaggio la priorità assoluta per l’azione degli organi dello stato». Lo dichiara in una nota Pino Arlacchi, eurodeputato, responsabile Pd per la sicurezza internazionale. «La combinazione di diplomazia, intelligence e coinvolgimento degli attori locali – prosegue Arlacchi – si dimostra vincente nel 90 per cento dei casi di sequestro di nostri cittadini all’estero. Dobbiamo perciò essere tutti grati a Terzi e alla sua leadership, ottimo esempio di sistema-paese da estendere all’intera macchina dello stato», conclude Arlacchi.
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