
di Tiziana Pasetti
William Stoner. Segnatevi questo nome. Anzi, non serve. Non lo dimenticherete comunque.
Un romanzo assolutamente perfetto. Quello pubblicato in Italia nel 2012 e negli Stati Uniti nel 1965 dopo essere stato scritto da John Williams è, mi ripeto, un romanzo. Il Romanzo. Di quelli che uno aspetta una vita intera senza saperlo e leggendo come un rapace e poi, poi arriva. Come la vita, più o meno. Come la morte, di certo.
C’è tutto, dentro. La storia con la S maiuscola; quella che della storiografia se ne frega, intendo. Ci sono le radici che legano e strozzano i passi. C’è la formazione del carattere. C’è l’amicizia. C’è l’amore.
Quelli, tanti, che non l’hanno letto ma ne hanno voluto scrivere hanno, ovviamente, sbagliato tutto. Stoner, l’uomo vuoto che però riempie le pagine di senso: questa, in soldoni, l’idiozia che hanno scritto gli espertoni dieci/cento euro a recensione. Peccato, perché non leggere Stoner è da galera, minimo.
Sembra povera, la vita del nostro eroe, se ti limiti a leggere le prime dieci pagine e le ultime cinque passando per le sei di mezzo (trucchetto del perfetto recensore che a fine mese deve far quadrare i conti).
Facciamo così. Decidetelo voi, se la vita di Stoner è povera o meno, decidetelo voi sapendo che nonostante le origini contadine William avrà l’opportunità di studiare e diventare professore universitario; incontrerà una donna, Edith, e si innamorerà di lei e la sposerà e avranno una bambina, Grace; avrà degli amici e dei nemici; si innamorerà ancora, Katherine il suo nome.
Mi sembra di vedere in questa vita, siamo in piena prima metà Novecento, molto se non tutto e forse anche troppo.
Il ribaltamento di un ceto sociale, il coronamento di tutti i sogni sudombelicali o pericardici che dir si voglia, riprodursi in una splendida e biondomunita pargoletta, un nuovo amore nel mezzo del cammino dell’etcetc.
Succedono molte cose, al nostro William Stoner (Willy per la moglie e Bill per l’amante), altrochè.
Poi è ovvio che la vita, il caso, il destino, mettono sul tuo tavolo delle cose. Le mettono lì. Poi sta a te. Decidere cosa farne, intendo.
Sul letto di morte il nostro Stoner [i]ponderatamente, con calma, realizzò che[/i] (la sua vita) [i]doveva sembrare un vero fallimento.
Aveva voluto l’amicizia[/i] (e l’aveva avuta, in fondo).
[i]Aveva voluto l’unicità e la quieta indissolubilità del matrimonio. Aveva avuto anche quella e non aveva saputo che farsene, tanto che si era spenta[/i] (la figura di Edith meriterebbe un libro a parte, come ha giustamente sottolineato nella postfazione Peter Cameron. Lucidissima la descrizione della follia a due nonostante l’agonia: [i]Avvertiva le mani di Edith che lo toccavano, lo muovevano, lo lavavano. Ha riavuto il suo bambino, pensò[/i]).
[i]Aveva voluto l’amore e ci aveva rinunciato, abbandonandolo al caos delle possibilità. Katherine, pensò. “Katherine”[/i] (una storia d’amore assoluta e infinita. Dopo essersi lasciati Stoner concentrò tutto se stesso sul lavoro. [i]Vent’anni lontani, pensò che aveva quasi sessant’anni e avrebbe dovuto essersi lasciato alle spalle la forza di una tale passione, di un tale amore. Ma sapeva di non averlo fatto. Sapeva che non l’avrebbe fatto mai. Oltre il torpore, l’indifferenza, la rimozione, quell’amore era ancora lì, solido e intenso[/i]).
[i]Aveva voluto essere un insegnante e lo era diventato.
Aveva sognato di mantenere una specie d’integrità, una sorta di purezza incontaminata; aveva trovato il compromesso e la forza dirompente della superficialità. Aveva concepito la saggezza e al termine di quei lunghi anni aveva trovato l’ignoranza.[/i]
Ancora. C’è anche lo spazio, in un grande romanzo così come in molte vite normali, di rovinare – insieme, madre e padre – per pura ego-distrazione, una figlia.
Io direi leggete questo libro e poi mettetelo come pietra angolare della vostra libreria personale.
L’ultima parola la lascerei a Katherine, amatissima inutilmente per sempre: [i]“Quasi tutte le storie finiscono male”[/i].
Salute e lunga vita, anche se nel libro muore abbastanza giovanotto, al nostro Stoner, decisamente un po’ tutti noi, davvero.
John Williams, Stoner, Fazi Editore
t.pasetti@gmail.com
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