
di Tiziana Pasetti
Cuore a rischio esplosione, mani che tremano, e la vita che ti scorre nella testa, tutta. Il primo giorno alla scuola materna. Poi la prima elementare, il grembiule, due quaderni e tante matite colorate. Le scuole medie, le prime frustrazioni, i primi esami.
Poi il tempo più lungo, quello che era una mattina e sei arrivato ancora un po’ bambino, gli occhialoni e i capelli sfigati. Quello che termina questa notte, questa notte indimenticabile, questa notte prima.
Questa notte prima degli esami.
Per chi è nato in un’altra era geologica (era, esatto) come me quella notte ha un nome e una canzone. Antonello Venditti, il suo cappello, il suo pianoforte. Non esisteva facebook. Non esistevano cellulari.
C’eravamo noi come voi, però. I nostri 18 anni che sembravano chissà quanti, mamma con la camomilla e papà con la sveglia alle 5, per essere sicuri.
L’ultima telefonata con l’amore che sarebbe stato per sempre (finì a settembre, complice l’estate e un nuovo amore eterno) e poi mille volte fianco destro e poi il sinistro e poi, dalla finestra, le luci di Roma.
Una notte per dire futuro, vieni pure. Una notte per dire addio. A rosa-ae e a tutte le declinazioni. A Talete Anassimene Anassimandro. A Dante Virgilio e Beatrice. Al teucro Enea, alle ascisse e alle ordinate, alla tangente e al coseno. Al romanticism e all’illuminism, a Keats, Shelley e Byron. A Hegel. A Kant. All’entropia e al moto uniformemente accelerato. Alle ossidazioni e alle riduzioni. A Leopardi, complice la sua luna. Alle ore odiatissime di matematica e fisica. Quelle amate di italiano, latino, storia, filosofia e inglese.
Sedersi, quella mattina, io e il Devoto-Oli.
Era già diversa, quella sedia.
Non più mio, quel banco.
“Descriva, il candidato”, invitava il Ministero della Pubblica Istruzione al posto della mia immensa professoressa di lettere. Il candidato. Ecco. Era finita davvero.
Tante notti sono venute prima di quella. Una sono nata e in un’altra ho scoperto la paura; c’è stata quella della prima volta fuori casa e quella della prima volta e non c’è bisogno di aggiungere altro. Tante altre l’hanno seguita. Una è nata mia figlia Vera e un’altra è stata di attesa per Allegra, bimba d’alba. Una è il 6 aprile. 2009. 3 e 32. L’Aquila.
Orbitano tutte, queste notti, quelle prima e quelle dopo, intorno a quella di quasi venti anni fa, però. Perché lì siamo arrivati e da lì, poi, – forti e distrutti insieme, la strada infinita davanti a noi – siamo ripartiti tutti.
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