
di Tiziana Pasetti
Portatevelo a letto e non sotto l’ombrellone, il libro più elegante dell’anno. “Il senso di una fine”, Julian Barnes (Einaudi).
Prosa lineare e irrequieta, emotiva, fredda, ossimoro sensualissimo. Trama in fuga. Il Man Book Prize 2011 non ha avuto storia, Barnes se lo è visto piovere addosso insieme alla critica entusiasta del mondo intero.
In poche parole: c’è un io narrante, Tony. C’è un gruppo di amici, e uno che si unisce in seguito, Adrian. C’è la storia di un primo amore neanche troppo passionale. C’è un suicidio. C’è un matrimonio e poi una separazione. C’è un testamento. E un diario. Un segreto.
Il libro comincia con una dichiarazione di onestà intellettuale da parte di Tony: “[i]Da un lato non posso garantire sulla verità dei fatti, dall’altra posso attenermi alla verità delle impressioni che i fatti hanno prodotto[/i]”.
Storia e storiografia, il dibattito di sempre. Cosa è vero? Cosa è accaduto e cosa forse no, attraverso i secoli? La storia deve raccontare o ricostruire, dopo aver elaborato?
“[i]La storia è quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione[/i]”.
Non tentate di capire quello che neanche Tony sa. Il libro e la trama sanno di perfezione, come una rete ti imprigionano e ti limitano nel gesto e ti costringono al pensiero.
Le pagine che l’autore dedica al tema dell’abuso sono illuminanti. “[i]Siamo stati tutti vittime di un abuso[/i]”, scrive Barnes. L’abuso non è solo fisico, non è violenza. L’abuso è una percezione personale e temporalmente situata: può essere stata una disattenzione, uno sguardo fuori luogo, una mancata carezza, un’assenza. Magistrale intuizione. Incastrata ad arte nel racconto dislessico del protagonista.
Portatevi a letto Tony e Veronica. E Margaret, la ex moglie forse amata o forse no, ma sempre ad un passo, sempre ad ascoltare e a consigliare, sempre a dare il permesso oppure a deridere. Entrate in casa di Veronica e poi guardate i polsi di Adrian, tagliati ad arte, che se vuoi morire devi sfregiarla obliquamente, quella vena.
Portatevi a letto e mai sotto l’ombrellone il tempo inquieto del ricordo incerto e inconsapevole. Portatevi la nostalgia, “[i]il ricordo potente di un’emozione forte, e il rimpianto di non ritrovare più sensazioni del genere nella vita[/i]”.
Siate colpevoli e consapevoli, ordina Barnes.
Della vostra ignoranza, della vita che scorre segreta un passo più in là.
“[i]Certe volte penso che lo scopo dell’esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all’altezza della propria fama[/i]”.
Leggete grandi libri. Portatevi a letto Barnes. La notte resterà in sospeso, e in attesa.
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