
La caduta massi sulla via dell’Amore nelle Cinque Terre con feriti gravi e i recenti, ripetuti, crolli lapidei sulle strade abruzzesi, dalla S.s. 80, L’Aquila-Teramo, a quelle nell’aquilano sulla S.s. 5 alle Gole di San Venanzio e sulla S.p. ex 479 della Valle del Sagittario che collega Sulmona con Scanno, riportano di forte attualità il problema del dissesto idrogeologico e con esso la carenza degli interventi. A sottolinearlo è Carlo Frutti, presidente dell’associazione nazionale difesa del suolo (Adis).
«Alle Cinque Terre – spiega Frutti – le opere di difesa da caduta massi erano state sì realizzate nel punto dove è avvenuto l”incidente’, ma a una semplice osservazione, anche attraverso le immagini televisive e pubblicate dai media, nonchè dalle relazioni dei tecnici intervenuti, si evidenzia che le barriere paramassi installate si sono dimostrate, nei fatti (non hanno intercettato i massi), assolutamente inadeguate ad eliminare il pericolo. I frequentatori del sentiero erano magari rassicurati dalla presenza di quelle barriere e invece sono andati incontro ad un gravissimo pericolo. Ed allora ci chiediamo: come vengono eseguiti gli interventi di messa in sicurezza?».
«Nella caduta massi – aggiunge Frutti – vanno esperite una serie di indagini e di studi preliminari del pendio a rischio prima di stabilire la tecnologia da adottare; in particolare riteniamo fondamentali studi di dettaglio: dal rilievo topografico, anche con l’uso di laser scanner, alla caratterizzazione fisico-meccanica delle rocce e lo stato di degrado, dallo studio dell’interazione masso-versante alla definizione delle traiettorie di caduta con conseguente stima delle energie potenziali. Una analisi completa che serva a determinare le condizioni per ridurre al massimo il rischio (nessuno è in grado di dare garanzie assolute) a cominciare dal tipo di barriera da utilizzare, l’energia di assorbimento, l’altezza e la geometria, e soprattutto il punto di installazione affinchè l’opera di difesa (barriera) intercetti il maggior numero di massi».
«E’ proprio questo l’errore che più spesso si commette: la posizione della barriera è sbagliata e i massi ‘scavalcano’ la protezione con rimbalzi sul pedio. E l’analisi e la previsione della traiettorie è oggi alla portata di tutti i tecnici con software avanzati a condizione, però, che vengano immessi i dati, ‘input corretti’, dalla posizione alla volumetria dei massi in distacco al profilo del pendio, dalla natura del substrato, alla presenza o meno di vegetazione. Troppo spesso – rivela il presidente Adis – le somme destinate allo studio geologico e geomorfologico del pendio sono insufficienti, se non addirittura inesistenti, mentre si ‘sperperano’ somme ingenti per posizionare (spesso nel punto sbagliato) strutture di difesa (barriere e reti paramassi) senza una adeguata valutazione».
«Ci chiediamo – continua Frutti – se gli interventi realizzati fino ad oggi sono in grado di garantire la sicurezza delle strade, delle aree sulle quali sono stati investiti, solo in Abruzzo e negli ultimi dieci anni, centinaia di milioni di euro. Proponiamo che si dia corso ad un monitoraggio completo (lo prevede anche la legge) e dettagliato delle opere di messa in sicurezza, almeno di quelle realizzate negli ultimi 10 anni, dalle barriere paramassi alle reti, dai pannelli in fune alle gabbionate, verificando la rispondenza tra progetto ed esecuzione (qualità e quantità dei manufatti), la qualità dei materiali, la completezza dei progetti soprattutto per quanto attiene alle indagini, il rispetto delle normative vigenti, la reale efficacia anche alla luce delle nuove conoscenze e tecnologie. La spesa non sarebbe eccessiva e i risultati servirebbero sia a ‘tranquillizzare’ i cittadini sulla reale sicurezza del territorio che a dare utili indicazioni per i futuri interventi. Può anche questa essere intesa come una forma di ‘prevenzione’».
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