Del Corvo ‘salomonico’ lascia il pomo della discordia a Chiodi

28 settembre 2012 | 16:51
Share0
Del Corvo ‘salomonico’ lascia il pomo della discordia a Chiodi

di Fulgo Graziosi*

Dopo una piacevole pausa, dovuta all’arrivo di due splendidi nipotini, “[i]tornammo a riveder le stelle[/i]”. Che delusione! Pensavamo di trovare un firmamento brillante di astri della politica, meglio ancora pseudo politica, un termine più appropriato e aderente alla realtà. Invece, questa volta, di astri brillanti di luce propria ne abbiamo trovato soltanto qualcuno e, guarda caso, non appartiene alla sfera della Regione, ma è un esponente del “Governo Tecnico”. Nella notte di San Silvestro le meteore hanno vagato senza meta e sono state inesorabilmente spazzate via tutte. Sono piombate nella piena oscurità, non tanto per quello che hanno fatto, ma per quello che, in effetti, non hanno prodotto. Neppure il Governo Tecnico brilla di luce propria. Ostenta un certo sorriso, che somiglia molto di più ad un ghigno, cercando di diffondere l’idea di una certa credibilità in campo internazionale. Credibilità che è puntellata da tutte le parti dall’apertura dei rubinetti finanziari della BCE che, se si dovessero chiudere, riporterebbero il Paese sul ciglio di una pericolosa catastrofe.

Ma. Torniamo ai problemi che in questi giorni hanno investito il nostro territorio. Il riordino delle Province. Un provvedimento superficiale, impregnato di tanta teoria e scarsa pratica. Un decreto governativo che dice e, nello stesso tempo, non specifica. Basato su una pura teoria di realizzare economie in un settore dove non ci sono spese. Lo vorremmo spiegare ai nostri lettori con parole semplici. All’inizio dell’anno sono stati diramati studi e analisi sul fenomeno del debito pubblico, troppo alto, eccessivo, provocato dalle sole Province.

Contestualmente l’ISTAT, il Ministero del Tesoro, l’Unione delle Province e tanti altri studiosi, sono stati concordi nel determinare la spesa pubblica per centri di costo. Le risultanze hanno prodotto, sinteticamente, i seguenti dati: Regioni spesa pari all’80% circa; Province 4,5%; Comuni (più di 8.000) 15,5%. I dati, riportati anche dai maggiori quotidiani nazionali, sono da considerare per difetto e non troppo vicini alla realtà, perché non hanno considerato gli effetti delle deleghe di funzioni amministrative conferite alle province senza la relativa razionale copertura finanziaria. Infatti, le predette deleghe hanno comportato l’erogazione dei servizi ai cittadini, solamente grazie alla virtuosità delle province, che hanno ritagliato fondi nelle risorse proprie per non essere insolventi nei confronti dei contribuenti.

Un attento chirurgo dove avrebbe dovuto affondare il bisturi? Certamente, non dove non c’è spesa. Forse sarebbe stato meglio usare la mannaia nel pozzo senza fine delle regioni. Bisognava, però, dare un segnale di rigore e di ricerca delle economie e la scelta è caduta sugli Enti più deboli, ma virtuosi. Comunque, il tanto sbandierato riordino nasce in odore della incostituzionalità del provvedimento e, soprattutto, per non irritare alcune componenti politiche parlamentari che avrebbero potuto negare la fiducia al governo Monti.

Comunque, la riorganizzazione delle province sottende una manovra molto più deprecabile e celata con particolare dovizia.

L’eliminazione di una provincia, tanto per fare un banale esempio, non comporterebbe solamente la soppressione virtuale di un Ente, ma, anche e soprattutto, il vero riordino dei servizi dello Stato, che inciderebbero tangibilmente sul precario equilibrio socio economico di una Regione (vedi soppressione della Prefettura, della Questura, dell’Agenzia delle Entrate, degli Uffici Provinciali INPS e INAIL, ecc.). Il personale delle province confluirebbe nella nuova entità e, quindi, la famigerata economia dove si conseguirebbe? In nessun settore. Lasciamo perdere l’eliminazione di 30 o 40 consiglieri provinciali, il cui costo annuo è di gran lunga inferiore a quello di un dirigente regionale di prima nomina, per non parlare del notevole divario con quello di un Assessore o consigliere regionale che sia.

Perciò, Del Corvo, recependo le maggiori indicazioni del CAL, ha giocato con estrema diplomazia, ponendo sul tavolo di Chiodi il pomo della discordia: l’accorpamento delle province abruzzesi in due sole entità, Chieti – Pescara e Teramo – L’Aquila.

Non appare una scelta oculata, razionale e perseguibile, detto con estrema trasparenza ed onestà mentale. Perché? Nel caso dell’unione tra Chieti e Pescara, per l’assegnazione del capoluogo di provincia, Chieti sarebbe soccombente, in quanto demograficamente carente rispetto alla norma governativa a favore di Pescara. Le stesse argomentazioni possono essere addotte nel caso dell’unione Teramo – L’Aquila. Chieti e Teramo avrebbero un trascorso storico serio e antico. Basterebbe ricordare che dalle costole di queste due province, e anche dell’Aquila, nacque in epoca non molto lontana la provincia di Pescara. Ma, non sarebbe neppure giusto penalizzare Pescara, perché, in effetti, rappresenta il centro nevralgico dell’economia abruzzese. Sarebbe stato molto meglio se il Governo, anziché fare tanta teoria, avesse lasciato immutata la situazione in quelle regioni dove erano stati raggiunti a fatica democratici equilibri. Avrebbe raggiunto lo stesso risultato di una possibile economia, sopprimendo, a ragione, le sole province di recente costituzione e che, realmente, rappresentano un costo, dal momento che si stanno ancora organizzando. Invece il Governo Tecnico ha voluto calarsi, a tutti i costi, nella parte dell’”azzeccagarbugli” per alimentare discordie tra poveri, per iniziare nuove polemiche e per far tornare di attualità antichi “campanilismi” improduttivi e sepolti da tempo nell’animo dei giusti. Gli abruzzesi non vogliono tornare al periodo borbonico. Hanno superato da tempo i tempi delle inutili polemiche. Ora si attendono che la Regione dia una prova di equilibrio, di serenità, di giustizia, presentando al Governo una proposta irrevocabile: il mantenimento dell’attuale assetto amministrativo con quattro province. La provincia “unica” sarebbe una vera follia, in quanto eliderebbe innegabilmente l’esistenza della Regione.

[i]

*Vicedirettore[/i]