
di Tiziana Pasetti
I giornalisti, soprattutto quelli che lavorano per le testate on line, sanno che il tempo della notizia ha davvero poco a che fare con quello del fatto che la genera. La notizia deve essere immediata e roboante, se vuole essere perfetta.
La notizia deve avere l’astuzia felina della femmina e la potenza fisica del maschio alfa.
La notizia deve durare abbastanza ma non troppo. Come un amplesso perfetto.
La notizia, però, devi guardarla da lontano. Se ti tocca smette di essere tale. Diventa vita. E le due cose vanno poco d’accordo. La vita la devi frequentare e sopportare ogni giorno. Niente tagli e montaggi. Niente “passiamo ad altro”.
Dove voglio arrivare?
In molti mi hanno chiesto il motivo del mio silenzio. “Parli e straparli la maggior parte delle volte anche a vanvera possibile neanche mezza riga sulla condanna ai tipi della Grande Rischi?”
Intanto potrei rispondere che non sta scritto da nessuna parte che non si possa trarre spunto dai grandi vini rossi e far fare alla notizia la stessa fine. Riposo. E poi lasciarlo decantare. Evitare il gusto falsato dalla fretta e dall’ingordigia.
Il giorno della sentenza un esercito di aquilani ha gridato al mondo il proprio sdegno e la propria soddisfazione. Per tre giorni facebook è stato campo di combattenti vittoriosi ma feriti. Sembrava che veramente fosse impossibile non solo parlare ma anche pensare ad altro. Tutti uniti contro l’ignoranza e la faciloneria dei media nazionali che sfornavano articolacci da quattro soldi pieni di errori e di retorica.
Io ho reagito di pancia, per una volta. Da parte la mia professione. Avanti la donna che quella notte c’era. E che c’è ancora. E che è tanto arrabbiata. Ho sparato parole senza concetti. Erano sfogo, dolore, orrore al ricordo. Ho condiviso l’articolo di un collega che rispetto per la tragedia che su di lui si è abbattuta con la forza di infiniti uragani. Poi ho aspettato. Mi sono detta vediamo cosa accade. Vediamo come reagiremo. Vediamo quanto dura.
Tre giorni. E i post si sono ammorbiditi. Al posto di Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Bernardo De Bernardinis, Giulio Selvaggi, Claudio Eva e Gianmichele Calvi, al posto di Billi e Picuti, è tornato l’orsetto con il cuore e la frasetta da minorati. Fosse solo storia da facebookland potrebbe anche passare. Ma provate a chiedere a bruciapelo al vostro vicino chi è Giulio Selvaggi. Io l’ho fatto. Ha strabuzzato gli occhi e ha risposto: “E io che ne so?”.
Ho la mia idea sulla condanna. Ho la mia idea sulla corrispondenza terminologica tra il nome di una commissione e l’oggetto del suo operare. Ma ho soprattutto vissuto quella maledetta notte e tutti i maledetti giorni che sono venuti dopo e che ancora oggi sono qui, addosso a me e alle mie figlie. E sinceramente trattare questo argomento alla stregua di una citazione corredata da foto smielata mi fa davvero tanto, ma tanto, schifo.
tpasetti@gmail.com
[i]
[url”Professione #hashtagger “]http://ilcapoluogo.globalist.it/blogger/Tiziana%20Pasetti[/url][/i]