
Cinque nuovi alberi piantati a Roma, cinque gli anni passati dal momento in cui Gabriele Sandri ha iniziato a vivere nel cuore degli ultras e di tutti coloro che lo hanno conosciuto.
È l’11 novembre del lontano 2007, nell’autogrill di Badia al Pino, lungo l’autostrada A1, in direzione Firenze. La Lazio, squadra del cuore del giovane Gabriele, a quel tempo ventiseienne, si sta recando a Milano, per disputare la tanto attesa trasferta contro l’Inter. Basta un accenno di rissa, e giunge sul posto la Polizia Stradale, che quel giorno, senza saperlo, avrebbe fatto molto di più di un semplice intervento: giusto il tempo di estrarre la pistola d’ordinanza, e il colpo dell’agente Luigi Spaccarotella colpisce il collo del ragazzo, mortalmente.
Le nove di mattina erano appena passate, lo sconforto attanagliò lo stomaco di tutti coloro che avevano assistito: i testimoni avevano appena visto qualcosa che solo successivamente avrebbero comunicato in un processo.
Da subito l’inchiesta ha inizio, ma i veri colpi di scena arriveranno più tardi. Nel 2009, un testimone che non riconoscerà in Spaccarotella l’uomo che ha sparato, affermando con convinzione di non aver visto l’agente sulla scena. Ma il testimone non è ritenuto credibile, essendo, al momento del delitto, appena uscito da un rave party in cui non aveva chiuso occhio neppure per un minuto.
È il secondo ragazzo che prende la parola in aula, Marco Turchetti, 21 anni, il testimone-chiave che è riuscito a rivelare qualcosa in più riguardo all’accaduto. «Aveva le gambe larghe e le braccia tese. Reggeva una pistola”, afferma additando il presunto colpevole. “Siamo risaliti in macchina e ci siamo immessi in carreggiata per entrare in autostrada. Ed e’ solo li’ che ho sentito un colpo sordo. Ho collegato la posizione del poliziotto a quando l’amico Giacca mi ha detto che Gabriele era ferito al collo».
Spaccarotella non è stato messo in carcere nel periodo delle indagini preliminari, ma si sapeva che il momento per lui sarebbe arrivato. E la prima decisione del giudice, quella del 14 luglio 2009, condanna l’agente a sei anni di reclusione per omicidio colposo, determinato da colpa cosciente. Ma le cose, con il passare del tempo, cambiano radicalmente. In secondo grado, arriva la revisione della condanna: nove anni e quattro mesi, omicidio volontario per dolo eventuale. Sentenza irrevocabile.
Ai microfoni la famiglia del ragazzo, tra cui il padre, che ringrazia le persone per l’appoggio offerto fino a quel momento. «Ho sempre avuto fiducia nella giustizia e voglio dire grazie a tutta la gente che c’è stata vicino fino a questo momento. Ho avuto un solo momento di scoraggiamento quando è stata emessa la sentenza di primo grado che era raccapricciante. Ma ora le cose sono andate come dovevano andare. Personalmente non ho alcun desiderio di vendetta, ma la verità ha avuto difficoltà ad emergere».
E ora lui è presente sugli striscioni, nei cori degli ultras, persino nelle canzoni. Basti ricordare gli Statuto, con il loro brano «È già domenica»: i componenti della band, da sempre definiti i cantori dei tifosi ultras, dedicarono un’antologia a Gabriele Sandri e Matteo Bagnaresi, entrambi deceduti mentre si stavano recando in una trasferta. Le famiglie risposero per ringraziare, e la lettera della madre di Gabbo fu davvero toccante: tanto da ispirare un nuovo testo, che non parla affatto di sentimenti come vendetta, rancore e rabbia, ma di un infinito dolore che solo una madre può provare nel momento in cui viene a mancare un figlio in un modo così incomprensibile.
E a poco più di cinque anni dalla scomparsa del giovane, sulla sua lapide sono stati depositati fiori, sciarpe e ricordi, non solo da tifosi, tra cui l’intera Curva Nord laziale, ma anche da viaggiatori che hanno sentito il bisogno di onorare il suo ricordo.
Ma fino a che punto un aumento di pena, ovviamente più che corretto, potrà essere identificato con la parola “giustizia”? Una storia che ha portato tanto sgomento nel cuore di schiere di ultras e di famiglie può essere accantonata sapendo che il giudice ha compiuto il suo dovere?
La verità è che, comunque vada, nessuno ci darà indietro Gabriele Sandri.
(c.g.)