L’Aquila, una terra che trema e noi, qui

18 novembre 2012 | 11:14
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L’Aquila, una terra che trema e noi, qui

di Tiziana Pasetti

L’Aquila è di nuovo Zona Rossa. Il centro è stato chiuso per dieci giorni. Ci sono i puntellamenti da controllare. Poi verranno rilasciate certificazioni di agibilità temporanea per gli esercenti.

Poi potremo di nuovo entrare per la passeggiata dei: “Mio Dio, ancora non ci credo” e dei: “Ti ricordi quando qui, prima?“.

Quando mai è stata davvero riaperta L’Aquila? E’ sufficiente non chiudere il coperchio di una bara per tenere in vita un caro che è morto?

E soprattutto, a quattro anni, quasi, dal 6 aprile 2009, a che punto siamo?

Vogliamo ricostruire ma poi tornano queste scosse, queste scosse che non hanno mai smesso di smuovere questa nostra terra. Ma basta quel boato e ritorniamo lì. Sono le 3 e 32. Stiamo dormendo. E’ un attimo. Siamo di nuovo lì. Noi. Meno 309.

Hanno condannato in primo grado una commissione che doveva occuparsi di grandi rischi e che poi si è difesa dicendo: “ma quel rischio non può essere trattato, i terremoti non li puoi prevedere”. Allora che ne parli a fare, dico. Ma comunque.

Vogliamo affidarci alla scienza. Vogliamo credere a quel “una scossa ogni cento anni”. Va bene. E allora non parliamone, stiamo sereni, saranno affari dei nostri nipoti, via! Noi abbiamo già dato.

Ma a scuola io ricordo che c’era una materia, si chiamava geografia.

E prima di insegnarci che c’erano appezzamenti chiamati Italia, Spagna, Nicaragua, e poi blocchi nemici chiamati Cuba e Stati Uniti, bene,

prima che i giocatori d’azzardo inventassero la geopolitica,

c’erano la roccia, l’acqua e il fuoco.

C’erano le ere geologiche.

Non potrebbe semplicemente trattarsi di questo? Della Terra che cambia. Cresce. Come i bimbi. Cambia. Come le donne.

Quando in travaglio gridano e tremano, per dare vita.

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Se non vogliamo che tutto ogni volta venga giù e che random uccida bisogna smettere di prendersela con un elemento naturale che giustamente non sa neanche che esistiamo e che non fa differenza tra noi e una lucertola e capire come ci si difende e come ci si tutela. Davvero niente di più.

O meglio. Significa anche creare condizioni chiare di risposta al momento critico.

Se dopo gli interventi di messa in sicurezza la gente continua ad avere paura significa che la soluzione adottata non è convincente. I cittadini non sono stupidi.

In tanti hanno visto riparare le proprie case con la retina che un tempo la nonna utilizzava per non spettinarsi il parrucco durante la notte.

In tanti, nelle new town, si chiedono se uno dei 200 dissuasori difettosi ce l’hanno sotto al sapete cosa (che io non posso scriverlo), e hanno paura.

In tanti ricordano come sono scappati quella notte.

Anziani senza dentiere e senza occhiali, persone nude, bambini con i pannolini sporchi.

Questo è ancora nelle nostre teste.

Tornare barbari, fare la pipì dietro ai cespugli, mettersi in fila in attesa di un paio di mutande che quelle che indossi da giorni emanano fetore.

Questo significa essere terremotati, signori.

Significa allungare le mani vuote e andare a caritare, per dirla con De Andrè.

Significa una piazza piena di bare di tutti i colori,

dal moro

al bianco.





tpasetti@gmail.com

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