Violenza sulle donne: un fatto di cultura, rispetto e legalità

di Nando Giammarini*
La violenza, in quanto tale, è un’assurda, aberrante, forma di negazione, di mancanza di rispetto, che impedisce l’esercizio di quelli che sono i più elementari diritti di qualsiasi essere umano: la libertà, la giustizia, la dignità.
Ancor più grave quella sulle donne se consideriamo che nel nostro ‘evoluto’ paese – stando a recenti statistiche – ben 14 milioni di donne sono state oggetto di violenza fisica, psicologica o sessuale nel corso della loro vita e un milione e 400mila ha subito uno stupro prima dei 16 anni. Un reato infamante mai denunciato dalle dirette interessate per vergogna o per paura di ritorsioni in ambito personale, per mancanza di culture familiari che diventano complici delle violenze, per mancanza di consapevolezza dei propri diritti. Basti pensare che nel solo 2011, per violenza compiuta da congiunti o partner, sono morte 127 donne; fino ad ottobre scorso eravamo già a quota 105, un pauroso quanto drammatico primato di una ogni due giorni.
Una strage delle innocenti che bisogna assolutamente fermare liberando, finchè si è in tempo, tante donne da un’ingiusta condizione di sopruso in cui sono da sempre relegate. A questo fine sarebbe quantomeno opportuno che tutti collaborassimo alla costruzione dei tanti centri antiviolenza, di cui è costellato lo stivale, promuovendo la cultura della prevenzione e del sostentamento sociale a tutte le malcapitate che scelgono la strada coraggiosa della denuncia.
E’ raccapricciante e da un senso di assurda rassegnazione, se non d’impotenza, leggere continuamente sugli organi di stampa di casi di stalking, di violenze perperate tra le mura domestiche, e fuori, di continui reati ai danni del sesso femminile.
In altre parole bisogna promuovere, anche con l’ausilio delle istituzioni, azioni concrete volte a sviluppare, con convinzione e decisione, pianificazioni strategiche e condivise. Mi ruga ancora nello stomaco e mi affligge il cervello la tragica fine di quelle due povere donne – Nella e Roberta, madre e figlia, di un paesino dell’Alta Valle dell’Aterno, Verrico nel tenimento del Comune di Montereale, mio paese d’origine – barbaramente uccise dal convivente della madre. E’ bene ricordarle – con tutte le donne colpite da analogo barbaro destino, insieme con la povera ragazza, vittima dello stupro della discoteca di Pizzoli, viva solo per miracolo, di cui si sta tenendo il processo questi giorni e mi auguro, se riconosciuto colpevole, all’autore dell’inumano gesto venga inflitta una condanna esemplare – nell’approssimarsi del giorno contro la violenza sulle donne. Intanto una bella notizia, una vittoria della civiltà e della giustizia ancor prima che delle associazioni femminili e femministe, l’ammissione quale parte civile del processo per stupro alla studentessa, del centro Antiviolenza dell’Aquila.
Il problema, lo sappiamo tutti, è di dimensioni paurose ed in continuo aumento; nel nostro Abruzzo, solo a Sulmona come riportato recentemente dalla stampa locale, 180 donne hanno chiesto aiuto alla Casa delle Donne ed al centro Antiviolenza “La Libellula”. Due strutture di notevole importanza che svolgono un ruolo di particolare importanza dove tante donne, al riparo da traumi e paure di ogni genere, talvolta in compagnia di figli in tenera età, trovano un riparo sicuro e con l’ausilio di esperti e operatori sociali tentano di ricostruirsi una vita.
Parlando con alcune volontarie dell’Udi (la storica organizzazione delle donne italiane) in un incontro in preparazione della giornata del 25 novembre – che terremo lunedì 26 all’università di Tor Vergata a Roma – mi dicevano che occorre sensibilizzare le più giovani, in età scolare, poiché sono le più diffidenti, a fronte di un problema di violenza, a chiedere aiuto.
Per dare risposte reali e soprattutto in tempo utile alle tante donne umiliate e offese bisogna incrementare i locali a disposizione delle vittime della violenza e dei loro figli pensando addirittura ad una residenza delle donne che, oltre a fornire sostegno morale e materiale, deve garantire assistenza legale.
Altra indegna offesa, purtroppo, ancora praticata in Africa ai danni delle bambine è l’atroce tecnica dell’infibulazione; contro questa pratica si è schierata anche una grande organizzazione da sempre in difesa dei diritti umani: Amnesty International.
Ognuno di noi deve fare del suo meglio, qualcosa di concreto, tipo firmare l’appello dell’associazione nazionale antiviolenza “Donne in Rete“ per la ratifica della convenzione del Consiglio d’Europa di Istambul. Un importantissimo strumento giuridico che definisce, per la prima volta, le misure di prevenzione, criminalizzazione e tutela in sede giudiziaria delle diverse forme di violenza sulle donne: dal matrimonio forzato allo stalking, dai reati commessi tra le mura domestiche a quelli in luogo pubblico. E questo è un bel passo avanti, un salto di civiltà verso la reale parità dei sessi per affermare una cultura del rispetto, della legalità, della non violenza.
Simili risultati si ottengono puntando sulla scienza dell’educazione e istaurando corrette relazioni uomo-donna che non possono, assolutamente, passare per la violenza, ma attraverso il dialogo. Insomma un’inversione di tendenza, un’inversione di mentalità.
*lettore
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