Il Gran Sasso e le storie della montagna incantata

26 novembre 2012 | 06:48
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Il Gran Sasso e le storie della montagna incantata

di Vincenzo Battista

Il ‘Primo Scrimone’ di Corno Grande, ossia la separazione, meglio, la divisione, sicuramente il distacco.

Sito del discrimine e della differenza, discerne, e infine fa la selezione a quelle parole, a quelle definizioni, a quei ragionamenti di una pattuglia di [i]boyscout[/i] che, improvvisamente, superato lo [i]skyline[/i] della sella, ci siamo trovati davanti, inaspettatamente, seduti a terra, a formare un grande cerchio, alla sommità appunto del toponimo “Primo Scrimone”, via del trekking del Gran Sasso anche metafora dell’orlo, del bordo, della scelta da compiere.

{{*ExtraImg_79913_ArtImgRight_300x386_}}Uno spettacolo quei ragazzi, comunque la pensiamo, raggomitolati così, un colpo d’occhio pressoché intimo, una sorta di rituale fuori del tempo, di irregolare liturgia, una specie di cerimoniale, un protocollo con al centro la parola che si muove e viaggia, cerca tra gli [i]scout[/i] i livelli, prova ad alzarsi, a risollevarsi, per ricercare tra le pause la sua essenza, davanti alla cordigliera antica e arcaica, frastagliata, discontinua e irregolare del Cefalone e delle Malecoste, del Venacquaro e Intermesoli: quasi che il cerchio formato dai corpi stretti delle casacche blu e chinati volesse, davanti a quel pantheon carsico, dare un ordine, un equilibrio, un assetto a quella geometria inquieta e lacerata, con la parola sì, che lì non è un accessorio, ma una preziosa condizione.

Quel mondo della montagna nel suo abissale silenzio, non aveva nulla di ospitale apparentemente, accoglieva il visitatore a suo rischio e pericolo, anzi non lo accoglieva, forse non lo accettava, ma tollerava il suo arrivo, la sua presenza, senza nessuna sicurezza, senza alcuna garanzia.

Piuttosto emanava sensazioni di una quiete elementare, quasi minacciosa verso l’uomo, non tanto di ostilità, quanto di indifferenza mortale, scrive Thomas Mann ne “La Montagna incantata”, anno 1924.

{{*ExtraImg_79914_ArtImgLeft_300x202_}}Nel libro affida al suo personaggio la sventata illusione del sogno quotidiano, dell’immortalità al cospetto della montagna simbolica, inizialmente respinta, ma nel fluire del tempo, le impressioni, le meditazioni dei personaggi nello scenario dell’opera letteraria, appunto, assumono forme di pittura, immagini, capolavori di sensazioni nel valore filosofico della successione di istanti, quasi che il libro si aprisse a grandi spazi e la catena dei monti offrisse in definitiva un’umanità ritrovata, soprattutto davanti alla malattia e alla morte, in un ‘dialogo interiore’: lo spazio della montagna, il tempo, e l’uomo lì, nell’incontro.

La montagna allora è percepita come valore di una trascendenza, ci si trova oltre e al di fuori da un’esperienza umana, si superano i limiti dell’esperienza sensibile, ma è lì davanti comunque la montagna, non più da ascendere per conquiste, primati, ma da annettere in una concezione della riscoperta, di un conosciuto [i]topos [/i]della mente, che torna, sempre.

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