
di Vincenzo Battista
‘Progetto Case’, Bazzano. Adesso il rumore è più forte, cresce sempre di più. Intenso. E’ arrivato il momento: “[i]Dai, usciamo dalla ‘camera con vista’, possiamo chiamarla così, sul balcone [/i]– le dico – [i]potremmo anche vederla . . .[/i]”. Lo fa, Lucia, IV elementare, sorride e forse ha capito . . . lo fa, e così ci affacciamo sopra la ‘battaglia‘, dentro una nuvola bianca che si alza dal suolo, sulla pianura che da lì si riesce a vedere. A tratti si scorgono anche schiere di cavalli e cavalieri che in formazione si muovono, compatti, e escono dalla polvere.
”[i]Li vedi, eccoli[/i]” le esclamo. Per un attimo appaiono e combattono, tra la nube, contro i fanti con gli scudi, schierati in linea con le lance abbassate e proiettate in avanti. Le armature abbaglianti luccicano sotto i vessilli colorati e ancora le insegne della città, ”[i]i Quarti[/i] – li vedi – [i]adesso si vedono bene[/i]” dico a Lucia, alti, tenuti dai portastendardo che sembrano camminare sulla nube; appaiono, si inclinano, cadono e sbattono a terra, ma vengono rialzate, le insegne, importanti, l’ultima difesa, tenute ferme e intorno un cordone di fanti, per proteggerle, mentre urla l’ardore, l’impeto si scatena, le spade si incrociano, il rumore sale, la sfida è arrivata, dopo un anno di assedio il coraggio è liberato nella battaglia, che ha deciso di scendere in campo aperto, fuori le mura assediate.
“[i]Che spettacolo Lucia. E dietro[/i]- le dico- [i]guarda ancora[/i]”. Le alte mura bianche in pietra della città, la porta e le torri di Aquila e, sopra, gli aquilani che sventolano i drappi, incitano alla vittoria le donne, gli anziani e sì anche i bambini corrono lungo la cinta muraria.
“[i]Ti vedi lì Lucia sui camminamenti delle mura, riesci a vederti…?[/i]”.”[i]Sì[/i] – mi ripete – [i]sì”, mentre si aggrappa alla ringhiera, allunga la testa Lucia, vuole vedere meglio, vuole capire, vuole vedersi, riconoscersi[/i].
Quando chiudiamo la porta del balcone torna seduta al tavolo, sopra i libri e i disegni, che sfoglia, adesso che la battaglia è finita, adesso, vinta, la città è salva, tu sei salva – le dico, Lucia – e la città, la “[i]Fedelissima civitas[/i]” nell’anno domini 1424 continuerà a esistere, ancora, per tanti secoli, oltre gli eventi, oltre le catastrofi, tra le montagne.
La città di frontiera continuerà a vivere, addizionando e sottraendo le pietre delle case, ricostruendo cose e luoghi, senza voltare le spalle al tempo, questo sembra il suo destino e, dentro le mura, tante altre Lucie, dentro i libri, insieme ad altri nomi, molti sconosciuti, ma che raccontano come siano giunti fino qui, come è stato possibile.
Anno domini 2012. “Qui, ripartire”, dalle “torri” del progetto case, è invece soltanto un’espressione vocale, umana, della “comunicazione”, ma senza fondamento alcuno.
“Qui ripartire”, un’impresa, una missione affidata alle voci di don Antonio e alla sua idea di Chiesa, al comitato di quartiere Bazzano e alla dignità e alla compostezza delle parole di Lucia Tomei con in braccio suo nipote. Sembrano personaggi de “[i]La compagnia dell’anello, il Signore degli Anelli[/i]”, in una lunga avventura senza fama né gloria, nella lotta tra il bene e il male, metafora che racconta un certo tipo di aquilani: poter contare sulle scelte e non essere persone provvisorie, battersi dall’esclusione sociale e ”liberare” i 1900 abitanti dalle “torri”, restituire loro dignità, cittadinanza, richiesti costantemente dentro il progetto case di Bazzano che “guarda” L’Aquila allineato e ordinato come una composizione “Lego” colorata; non c’è battaglia, il tempo sembra dilatato, per tanti, e quasi scaduto per alcuni, apparentemente più lento per molti, insieme ai gesti e alle parole anch’essi ridotti, il tempo è declinato in un unico sentimento, dominante, collettivo, oltre la statale.
Il costo più alto di tutto questo lo pagano gli estremi della vita: i bambini in una marginalità sociale, i più vulnerabili; gli anziani con la loro emarginazione e disagio.
C’è l’assedio qui, ma di un’indifferenza, la più temibile: l’ombra di un luogo sociale senza identità alcuna, che raccoglie e trattiene le pene quotidiane, il dolore, i lutti rimbalzati e mai elaborati, catapultati da una storia collettiva, un epistolario, e qui domiciliati: un contenitore antropologico a cui è impedito di “guardare” avanti, come Lucia con il suo sguardo rivolto al passato, a cercarsi…
Che cosa si immagina diventerà? Come e dove vivrà Lucia? Quali sono le sue aspettative, i suoi sogni, mentre disegna “torri su torri”, camper in sosta, piastre antisismiche e parcheggi pieni di macchine?
Gli anziani, senza certezze se non quella di aspettare il sole, i nuovi eremiti, escono sui balconi, si appoggiano alle ringhiere, guardano la pianura della battaglia. Ma va bene così – dicono – hanno le case e il resto, sì, il resto fuori dal loro tempo e dal loro immaginario, è meglio non vederlo ed è difficile raccontarlo.
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