
L’altro giorno, sfogliando vecchie foto, ne ho trovata una del dicembre 2007, essenziale. Poche luci evanescenti ferme in mezzo al cielo. Ma ogni foto è legata indissolubilmente ad un ricordo.
E così ho potuto rivedere la mia L’Aquila vestita a festa. Sentire i portici riempiti del brusio delle persone intente nella loro caccia ai doni. Le risate. Le vetrine addobbate alla ricerca dello sguardo dei passanti. Gli zampognari a riempire l’aria dei loro suoni ipnotici.
Tutte cose presenti in ogni città nel periodo di natale. Ma ogni città ha delle sue peculiarità a distinguerla. E da noi erano il freddo, e le braccia intrecciate.
Ricordo distintamente signori di ogni età passeggiare sottobraccio in un segno di cordialità, familiarità, di ritrovato tepore. Sì, quelle braccia intrecciate portavano con sé persone in festa, che si scambiavano piccole confidenze passeggiando nel centro.
In questo natale 2012 abbiamo aperto le braccia, sciolto un vincolo millenario. Abbiamo perduto un contatto.
Le passeggiate ora si fanno nei centri commerciali, dove fa caldo e non c’è necessità, bisogno e scusa per stare così vicini. Il centro è sempre lì, ma non riecheggia di rumori, suoni.
Le colonne e le case sono tutte addobbate da tiranti e ponteggi. Abbiamo conquistato mille rotonde in cambio di una, storica, che è divenuta un cantiere. Le strade sembrano più fredde senza persone a riempirle, percorse per lo più da mezzi in moto. Non ci si dà più appuntamento ai quattro cantoni, alla piazza, al vicolaccio. E presto, se non già da ora, per le nuove generazioni questi nomi non avranno un senso.
Quest’anno il natale ci sarà, solo, senza città.
Per il prossimo speriamo nell’Aquila ad accoglierlo, stretto, tra le sue braccia intrecciate.
Christian Colombo