
Giulio Petrilli, ex responsabile giustizia Pd dell’Aquila, scrive in una lettera:
«Leggo proprio oggi su “Ristretti Orizzonti” l`intervista fatta a “Radio carcere” (rubrica di Radio Radicale) di un detenuto del carcere di Bellizzi Irpino (Avellino), che denuncia le vessazioni cui è stato sottoposto. Racconta di tanti detenuti, malmenati e lasciati nudi in celle fredde e anguste con i materassi bagnati. Paragona quel carcere a quello iracheno di Abu Graib, dove si sono perpetrate le peggiori torture.
Il carcere di Bellizzi Irpino, fu aperto nel luglio del 1994. Io lo conosco bene perché lo “inaugurai”. Trasferito, a fine luglio del 1994, dal super carcere di Trani passai dall`articolo 90 (attuale 41 bis) alla massima sicurezza (un gradino più basso) del carcere di Bellizzi Irpino –Avellino.
Credevo finalmente di trovare un trattamento migliore, invece trovai l`inferno. Niente acqua, in piena estate, con un caldo torrido. Dopo una settimana senza acqua, protestammo con una semplice battitura.La mattina presto arrivarono gli agenti in massa e prelevarono tre di noi, che consideravano i leader della protesta.
Mi tolsero gli occhiali e lungo le scale botte da orbi, mi colpirono con violenza in tutto il corpo e in particolare agli occhi, non vedevo più, poi la vista riprese, ma con dei punti neri che non se ne sono piu` andati.
Danni permanenti, delle ferite alla retina, diagnosticarono i medici. Retina che non si staccò per miracolo.
Fratture e lesioni alle costole, per un mese non riuscivo quasi a respirare, anti infiammatori e anti dolorifici sempre. Denunciai al magistrato di sorveglianza l`accaduto.
Dopo questa denuncia, dovevo partire per Milano perché iniziava il mio processo d`appello (processo dove mi assolsero dopo 6 anni di carcere).
Mi prelevarono la notte prima e mi dissero che mi avrebbero fatto fare loro una bella protesta, facendomi capire che mi avrebbero suicidato, infatti in dieci mi portarono dentro una cella di isolamento.
Mi dissero chiaramente che se insistevo nelle denunce quella sarebbe stata la mia fine.
Partii il giorno dopo.
Ho fatto denunce dell`accaduto sia al magistratto di sorveglianza di Avellino che a quello di Milano, ma mai una risposta. Negli anni seguenti, in quel carcere si sono registrati diversi suicidi. Sia nel carcere femminile che in quello maschile.
Alcuni totalmente inspiegabili, perché le persone suicidate, avevano svolto lo stesso giorno colloquio con i familiari nel modo più tranquillo. Mi auguro che qualche magistrato coraggioso, riapra quei casi archiviati come suicidio. Si è il momento che qualcuno abbia la determinazione di ripristinare la verità. Poi le vite non si restituiscono, ma almeno si sappia ciò che realmente è accaduto».