I giorni della merla

31 gennaio 2013 | 12:23
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I giorni della merla

di Nando Giammarini*

Le fiabe, come i miti, servono a tramandare, di generazione in generazione, il sapere tradizionale strettamente legato ad usi e costumi del luogo ove le Comunità vivono. Tante le versioni popolari che ci riferiscono dei giorni della merla, l’unico denominatore comune sono i giorni 29, 30, 31 gennaio e il simpatico ed allegro uccellino. Esso è stanziale nel nostro paese e con il suo canto annuncia la primavera che, stando alle diverse costumanze, arriverà in anticipo se i giorni della merla sono freddi, ritarderà nel caso in cui sono caldi.

Una diversa interpretazione ci dice che la presenza del merlo nelle varie epoche è legato al fatto che, temendo i rigori invernali, canta per esprimere il bisogno, il desiderio, la necessità della bella stagione.

Le leggende – su questi giorni una volta di un freddo forte e intenso ma ora, con il cambiamento climatico, decisamente più miti, sebbene quest’anno siamo in una frase di alta pressione con giornate belle, soleggiate e temperature ben oltre la media stagionale, nonostante il freddo sembra sia sempre in agguato e il Generale inverno farà la sua comparsa nel prossimo mese di febbraio – parlano di cinque protagonisti principali: un merlo, una merla e una nidiata di tre piccoli. Una famiglia di merli – che, giova ricordarlo, inizialmente erano di un bianco candido – era arrivata, a Milano, sul finire dell’estate e aveva edificato il proprio nido in un albero molto alto a Porta Nuova.

In inverno, per ripararsi, proteggersi dal freddo e dall’abbondante nevicata, i merli si erano stabiliti sotto una grondaia. La situazione generale era difficoltosa poiché il gelo rendeva praticamente impossibile la ricerca di cibo e la neve aveva ricoperto quelle poche briciole che in condizioni normali riusciva a racimolare ed erano di primaria importanza per il sostentamento della nidiata.

Un giorno, il merlo, decise di andare oltre i confini del manto nevoso per assicurare cibo alla sua famiglia. La merla, rimasta sola a protezione dei piccoli, intirizziti dal freddo, spostò il nido in un tetto vicino dove svettava il fumo di un camino da cui fuoriusciva un po’ di tepore.

Il freddo intenso durò tre giorni e lo stesso periodo stette fuori il merlo; al suo ritorno stentò a riconoscere la consorte e i figlioletti diventati tutti neri a causa del fumo che emetteva il comignolo. Il primo febbraio comparve una più mite giornata di sole e tutti uscirono dal nido invernale. Tutti notarono, con sommo stupore,che quei candidi volatili da bianchi erano diventati completamente neri. Da allora in poi i merli nacquero sempre neri, quelli bianchi diventarono un’eccezione da favola e gli ultimi tre giorni di gennaio vennero denominati:’I giorni della merla‘.

Altre fonti rivelano che Merlo e Merla erano due giovani innamorati piemontesi che volendosi unire in matrimonio, come da antica tradizione nel paese della sposa situato oltre il Po, erano costretti ad attraversare il fiume per raggiungere, di ritorno la loro casa. Le condizioni metereologiche erano pessime, il fiume completamente ghiacciato e dopo aver atteso ben tre giorni che il tempo migliorasse decisero di attraversarlo a piedi. Ad un certo punto il marito, a causa della rottura del ghiaccio sprofondò nelle acque gelide e morì. La sposa pianse talmente forte che il suo grido di dolore si sente ancora oggi lungo le acque del Po nelle notti di fine gennaio.

Questa tradizione si ripete attualmente e le giovani in età di matrimonio si recano sulle rive del fiume nei giorni della Merla a cantare e ballare una canzone propiziatoria il cui ritornello recita “[i]E di sera e di mattina la sua Merla poverina piange il Merlo e piangerà[/i]”.

Ne potrei narrare delle altre, ma mi dilungherei troppo. Sono comunque diverse nei particolari, ma simili nella sostanza la cui morale è sempre la stessa: non fidarsi mai delle apparenze e non credere che il brutto dell’inverno sia passato poiché il peggio può sempre arrivare prima della bella stagione.

Quest’antica, secolare, tradizione – resa famosa anche dal Divino poeta che nel XIII capitolo del Purgatorio, girone degli invidiosi, costretti dalla legge del contrappasso, alla cecità poiché, in vita, i loro occhi godettero notando il dolore altrui – viene così riportata:

[i]… e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispari,

tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia,

gridando a Dio: “Ormai più non ti temo!”

come fé il merlo per poca bonaccia…[/i]

[i]*lettore[/i]

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