
«La responsabilità morale dell’Università è molto alta: l’Università non ha fatto niente e, invece, doveva essere chiusa. Mio fratello non era particolarmente studioso ma è rimasto all’Aquila perché il lunedì avrebbe dovuto sostenere un esame. Se l’attività fosse stata sospesa si sarebbe salvato».
Tra lacrime e profonda commozione, la giovane studentessa Liliana Centofanti, sorella di Davide, una delle otto giovani vittime del crollo della Casa dello studente, commenta a caldo la sentenza di primo grado del processo per il caso simbolo del terremoto dell’Aquila e della maxi inchiesta sul sisma del 6 aprile 2009.
La ragazza, con toni decisi, tira in ballo l’ateneo aquilano, mai coinvolto in nessuna fase delle indagini e del processo. La giovane punta il dito anche contro le false rassicurazioni della Commissione nazionale Grandi Rischi, organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, i cui sette componenti sono stati condannati a sei anni.
«Mio fratello ed i suoi amici sono rimasti all’Aquila dovendo sostenere degli esami e sentendosi rassicurati dagli esperti della Commissione Grandi Rischi – ha continuato – non certo da persone qualunque».
In riferimento alla sentenza di oggi, per Liliana Centofanti, «come possiamo essere soddisfatti della condanna di tre persone a quattro anni se sono quattro anni che mio fratello ci è venuto a mancare?».