
«Su di me era tutto chiaro fin dal 2009, non ho mai avuto dubbi sulla mia estraneità. Difficile, però, essere soddisfatti dopo tre anni e mezzo». Così l’ex presidente dell’azienda per il diritto allo studio universitario dell’Aquila Luca D’Innocenzo commenta la sentenza di assoluzione nel processo per il Crollo della casa dello studente.
D’Innocenzo, al momento del terremoto del 6 aprile 2009, era stato nominato assessore comunale all’Aquila, carica dalla quale si dimise all’avvio dell’inchiesta (che non lo ha coinvolto in qualità di amministratore), così come si dimise da quella di presidente dell’Adsu (carica in virtù della quale fu indagato).
«Il processo ha confermato che le cause sono da ricercare nel cambio di destinazione d’uso, nell’intervento di ristrutturazione e nella costruzione e progettazione – ha continuato -, sulle carte era già scritto che non c’entravo nulla, la mia vicenda si doveva chiudere nella fase dell’udienza preliminare».
Ma l’Università si poteva chiudere? «Quando si amministrano enti pubblici c’è bisogno di razionalità e non di emotività – risponde -; se un ente non ha strumenti sulle sensazioni e sugli allarmi non si può chiudere l’università. Certo una riflessione politica per quanto successo all’Aquila va fatta su come si è costruito e su come sono state date le agibilità – ha concluso -, temi non oggetto di indagine».
Il legale di D’Innocenzo, l’avvocato Fabio Alessandroni, ha sottolineato che dopo tre anni e mezzo di sofferenza «è stato sancito il fatto che il mio assistito è assolutamente estraneo ai fatti visto che l’incarico per la ristrutturazione era stato affidato nel 1998 da Pier Ugo Foscolo quindi non da D’Innocenzo, nominato solo nel 2006».