
di Annamaria Barbato Ricci
Certo che se c’è una cosa che è assente in questa campagna elettorale anomala (non mi ricordo che si sia mai votato in febbraio), nonché isterica è la politica. Chiamereste voi politica le invettive di Grillo; le barzellette di Berlusconi, battute sessiste comprese; i teoremi da lavanderia di Bersani; gli afflati animalisti di Monti; i bollori di Ingroia; i millantati crediti di Giannino?
A nessuno che salti in mente di parlare di cose concrete, di come vogliono traghettare fuori dalla palude questo sventurato Paese. Sventurato in quanto per lo più dotato di una classe dirigente politica impegnata a fare le creste come neanche la più spudorata delle serve. Si dice o non si dice: il conto della serva? E così ci troviamo di fronte, in piena campagna elettorale, ad un tamtam massmediologico parallelo, destinato a fare opera di distrazione di massa, affinché l’elettore, piccinino, non si ponga i problemi su quello che davvero gli interessa: il risanamento dei conti pubblici, il mantenimento di un livello accettabile di welfare, di fiscalità e di potere d’acquisto, la compressione dello strapotere delle banche al cui salvataggio viene destinata una quota significativa del gettito di una pressione fiscale da far impallidire d’invidia i viceré del XVII secolo.
Dalla torbida vicenda del Monte Paschi, ad esempio, sta emergendo una [i]liaison dangereuse[/i] fra sinistra e destra con ufficiale di collegamento quel Denis Verdini che ogni tanto riciccia impelagato in situazioni opache di maneggio di soldi. Pubblici, [i]ça va sans dire[/i].
La sua posizione a gestire il mazzo di carte nel teatrino del PDL appare in stretta correlazione con la sua attività di grande elemosiniere (in special modo per sé stesso, ma non solo), in un intreccio inquietante di bieco affarismo e pattinamento sul Codice Penale.
Vorrei entrare nel merito della smacchiatura dei giaguari: diceva la mia bisnonna che chi nasce tondo non può morir quadro. E lei era donna di esperienza, perché, figlia di un armatore salernitano ricchissimo, si era trovata precocemente vedova a governare un budget familiare improvvisamente decurtato dai rovesci di fortuna, quattro figlie da sposare ed un figlio maschio ribelle e sciupone. Dunque, sarebbe stata la prima ad obiettare che i Giaguari sempre Giaguari restano ed hanno molti amici. Infatti, di questi tempi siamo invasi da “amici del giaguaro”, impegnati in uno sport che è un peccato che non sia olimpico, altrimenti in Italia avremmo vinto medaglie a mani basse: la spasmodica caccia al carro del vincitore.
Le macchie genetiche sono impossibili da eliminare, cosicché, dalla saggezza dell’ava attingo l’idea che ciò che non è smacchiabile è invece omologabile: ovvero, che non bisogna togliere, ma mettere, trasformando il giaguaro nella pantera nera, altrettanto pericolosa e sanguinaria, la cui mutazione genetica è in re ipsa.
Insomma, fuor di metafora, gratta il giaguaro, trovi l’estremista antiprogressista. Aggrappato ad alcune parole chiave che servono a procurarsi voti, speculando sulle suggestioni ormai sorpassate che tale parola è in grado di sprigionare.
Prendiamo il vocabolo “comunista”. Vi sfido a trovare un comunista ‘puro’ nel panorama politico nazionale ed internazionale.
Molte volte l’appellativo o serve a fare manifestazioni da stadio, tanto per venire alle mani, in nome dell’aggressività genetica del genere maschile (Chi non salta, comunista è! Ma che vor dì?).
Sì, del genere maschile: perché le avete viste mai le donne dividersi per pura ideologia? Persino le 21 Costituenti fecero fronte comune per portare avanti dei principi di equità e pari opportunità da inserire nella Carta Costituzionale!
Sia come sia, ormai il termine è un involucro vuoto, manipolato ad arte. Altrimenti persino il compagnuccio della parrocchietta Putin sarebbe da evitare come la peste: era o non era comunista? Anche della sua redenzione si autovanterà il Mago di Arcore?
Veniamo al capitolo Giannino che, non scoraggiato dai polveroni tedeschi per tesine copiate e finti titoli di studi che hanno provocato dimissioni governative a catena, ha tentato di attribuirsi autorevolezza vantando un Master a Chicago.
Credeva forse di partecipare alle elezioni postunitarie del 1861 (il sembiante c’era tutto), quando l’emersione di tale balla colossale sarebbe stata più complessa, perché non c’erano né gli aerei né il web?
E non pensava che, avendo in lista un personaggio informato sui fatti come il professor Zingales, la sua puerile bugia sarebbe stata sgamata in un fiat? Anche lui, come la Nestlé, in fondo, ha infilato carne di cavallo in appetitosi tortellini. Anzi, carne di somaro. E, tanto che il taroccamento è all’ordine del giorno, una famula del Celeste ex Governatore della Lombardia sembra che abbia falsificato delle lettere, facendole apparire provenienti dal Presidente della Repubblica Napolitano e dal Segretario Generale del Quirinale, Donato Marra. Come se non bastasse, molti elettori hanno ricevuto un’appetitosa letterina, che sulla busta portava una vistosissima scritta: “Rimboso IMU 2012”. Non credo che la delusione nata dall’accorgersi che si trattava di mendace pubblicità elettorale abbia granché giovato al firmatario, il solito Mr B..
Il che m’ispira un’altra riflessione: bazzicando ministri e ministresse, parlamentari e parlamentaresse, e leggendone i curricula sulla mitica Navicella, mi sono spesso chiesta quanta percentuale di “gianninate” ci fossero nei loro cursus honorum scolastici.
Mi piacerebbe che, come in Germania, ci fosse un puntiglioso investigatore che verifichi quanto ci sia di fantasioso nei titoli di studi sciorinati come panni al sole dai nostri campioni politici. Alcuni, infatti, pur confessando di non aver finito l’università, con un acculturamento irrituale, hanno acquisito dialettica e capacità di analisi che valgono dieci master; altri sono talmente beceri e ignoranti (per non parlare del minimo galateo di sopravvivenza) che viene il dubbio che non abbiano terminato la terza media.
E questo non per un classismo snobistico, bensì perché contrabbandano nella società il disvalore dell’ignoranza come grimaldello per sconfiggere la meritocrazia. Lo dimostrano il fior di ricercatori a spasso e quello 0,19 del PIL indirizzato verso la spesa al sostegno dell’unico petrolio che Dio ci ha dato (e, noi, per dispetto, facciamo di tutto per calpestare): i beni culturali.
[i]Fonte: lindro.it[/i]