
di Marianna Gianforte
Non è soltanto un film sull’Aquila. Il lungometraggio targato associazione “Ricordo” è qualcosa di più. È un viaggio dentro noi stessi, nelle storie di amicizia, magari incomprensioni, e poi ritrovamenti tra le macerie della Città terremotata, L’Aquila, che delle sofferenze e i disagi dell’Italia è la sintesi estrema. Il lungometraggio ha già un nome: [i]Io non c’ero[/i]. Hanno un nome i suoi autori: il film-maker Francesco Paolucci e Giuseppe Tomei, ideatori un po’ sognatori di una sceneggiatura che stanno scrivendo da un anno e mezzo. E in un contento di crisi economica e di una città capoluogo di regione distrutta, i sogni sono l’unica cosa che resta.
Il lungometraggio è [i]work in progress[/i], come racconta Francesco. Oggi il progetto sarà presentato – dopo la conferenza stampa delle 11 – al Palazzetto dei Nobili alle 18,30. Poi si continua con il reclutamento di altri attori, che si andranno ad aggiungere agli artisti che fanno già parte del cast: tutti rigorosamente locali.
Ma cosa racconta il film? Ci sono due amici, le loro vicende simili a quelle di tanti e, sullo sfondo, la città fantasma, la sua comunità disgregata, senza più i suoi gruppi di amici, gli amori che nascevano sotto i portici di San Bernardino o per le scalette del “Vicolaccio” e gli ideali un po’ offuscati. Non è un film sul terremoto. Ma “dentro” il terremoto. Il resto lo spiega Paolucci in questa intervista per [i]IlCapoluogo.it[/i]
Paolucci, che cos’è questo lungometraggio? È una sceneggiatura che Giuseppe Tomei ed io stiamo scrivendo da più di un anno e mezzo. Vogliamo raccontare le vicende che si sono susseguite nel corso della ricostruzione. Il terremoto e la città fanno da sfondo a una storia di amicizia che potrebbe essere ambientata in qualsiasi altra città. Un legame che all’Aquila acquista maggiore peso, perché il contesto in cui viviamo è stato stravolto dall’evento sisma. Nel film cercheremo di non parlare del terremoto, che resta sullo sfondo, e con il quale, ovviamente, i protagonisti si “scontrano”.
Non c’è una storia d’amore? No, non è un film romantico in senso classico. C’è una storia di amicizia e il grande dilemma se lasciare o andare via dall’Aquila, dopo il sisma. Una domanda che si fanno molti giovani a 30 anni ovunque nel nostro Paese, ma che all’Aquila ha un peso maggiore, perché la situazione qui è più difficile che altrove. Il film ruota attorno al dilemma: restare o andare via?
Qual è stata la scintilla che ha ispirato il lungometraggio? È nato dalla necessità di raccontare quello che abbiamo vissuto personalmente: è un film non strettamente autobiografico, ma c’è dentro tanto di chi l’ha scritto. Ci siamo ispirati alle storie delle persone a noi vicine, cercando di raccontarle meticolosamente, ma anche romanzandole.
A che punto si trova il lavoro? Siamo alla fase iniziale. Abbiamo girato un trailer prima del film vero e proprio, da allegare alla sceneggiatura da mandare in giro per l’Italia e trovare, in questo modo, dei finanziatori. Si tratta di un ‘work in progress’. È una battaglia ‘donchisciottesca’, lo sappiamo quanto impegno ci vuole per fare un film, ma noi ci stiamo mettendo tutte le nostre risorse: tempo, denaro, professionalità. Per questo motivo vogliamo cercare di attirare l’interesse di qualcuno che creda nel progetto, anche entrando in circuiti fuori dalla città. Non so se ci riusciremo, ma almeno ci avremo provato.
Allora è una sfida? Una sfida che dobbiamo a noi stessi, alla città e al Paese. Il nostro obiettivo non è fare un film solo per le persone del luogo, ma di raccontare uno spaccato della realtà italiana: L’Aquila è, per certi versi, il concentrato di un’esperienza che potrebbe essere traslata al resto d’Italia. Ci piacerebbe, un domani, mandare il lungometraggio anche a qualche festival.
Ma questa è un’altra storia. Per adesso ce n’è una storia da raccontare e da costruire: quella dell’Aquila e dei suoi “amici”.