
di Ariale
Questa sera non andremo a mangiare con le mimose sulla giacca: quest’anno i cancelli non si aprono.
Siamo troppo occupate.
Maria deve fare la dieta.
Carla deve stare con il figlio che ha 39 di febbre e vomita appena gli mette la maglietta pulita.
Dina deve dannarsi l’anima a mediare fra quel pazzo di suo marito e quella figlia ribelle.
Rossella aspetta la telefonata dell’uomo che le ha cambiato la vita.
Anna deve fare i ravioli a suo marito e correre dalla madre anziana che solo con lei si calma.
Antonella ha il cuore spezzato per la sentenza di separazione.
Elena deve fare la spesa: ha una cena per dieci persone e due ore di tempo.
Alessandra si sente brutta solo perché ha incontrato uomini che non l’hanno amata.
Raffaella ha finalmente concluso la sua giornata di 37 ore ma deve ancora placare l’irrequietezza di sua figlia.
Marina ha fatto una torta di mele per Sara che ha un cancro al seno.
Antonietta ha finito il tempo: fra un po’ vedrà suo figlio per la prima volta, e non vede l’ora.
Paola sta andando a comperare l’ultimo vestito per sua madre, ed è disperata.
Graziella è diventata rossa per lo sguardo libidinoso del suo capo, che le ha fatto senso.
Stefania ha rotto i piatti perché è troppo stanca.
Daniela è preoccupata del suo interno cosce, inferno cosce dopo la menopausa.
Silvia è contenta che il suo uomo le sorrida splendido, ma in realtà sorride a quella dietro lei.
Ernestina deve fare 10 lavatrici e, orrore, le deve pure stirare.
Mimose? No grazie.
Gli archetipi non sono mercificabili, anche se le mimose sono belle, profumate e ci piacciono pure.
E allora?
E allora mi incammino verso il Gran Sasso, c’è quella roccia bianca, argentata, che mi chiama.
Sembra un antro gravido, cavernoso, pieno di silenziose parole, femmina come me, sferzato dall’aria rigida dei 2000 metri, che assorbe molecole di ossigeno puro. Penso al mondo della condivisione, fatto di solo donne, ai sacrifici affrontati che hanno attraversato ere geologiche e tempi, alle giornate che si alimentano con i propri vuoti. Mi adagio di spalle ad un costone del monte, guardo la piana che è un mare verde, poi mi volto con le braccia spalancate e sembra di rientrare nel buio amniotico della mia genesi. Mi pare di sentire anche il rumore del mare in questo linguaggio di assoluti. Vengo assorbita dalla forza e dalla potenza di questa roccia che mi riconosce, siamo fatte della stessa sostanza, fedeli alla nostra natura, siamo femmine, madri generatrici, ponti fra piretiche lucidità e spaventosi oblii, maree che si gonfiano e si ritirano in una asciutta battigia mentre la vita si spiega in una quotidianità complessa per chi, come noi, non è mai indifferente.
Forza e delirio di un’essenza onorata ogni giorno, non relegabile ad una festa di consumo, con dolori blindati o gioie deflagranti, in una storia tutta al femminile, come la terra che s’ingravida, germina, nutre e muore in un ciclo perenne, che partorisce continuamente la propria vita, dalla notte dei tempi, e rinnova i sentimenti più veri e sinceri che ad essa appartengono e che ci distinguono nel privilegio, faticoso, dell’ essere donna. . . da sempre uguale a se stessa.
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