Cosmesi romana, ricci e capricci

19 marzo 2013 | 12:25
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Cosmesi romana, ricci e capricci

di Annamaria Coletti Strangi*

Ogni affezione aveva un rimedio, la calvizie, la canizie, il capriccio. Vari erano i coloranti, sia vegetali sia minerali, che permettevano di cambiare colore ai capelli. Poppea, sposa di Nerone, lanciò la moda del biondo, ma si amavano anche il nero e il rosso, mentre le cortigiane ricorrevano al turchino e al giallo carota.

Consola che tali debolezze le avessero anche gli uomini, come si legge in Marziale (3,43): “[i]Ti spacci per giovane o Letino, tingendoti i capelli: tanto che all’improvviso sei diventato (nero come) un corvo, tu che prima eri (bianco come) un cigno[/i]”.

Anzi, la civetteria maschile toccava così alti livelli, da far sfiorare l’ambiguità sessuale, tanto che Ovidio ammonirà chi era eccessivamente raffinato (ars 1,103): “[i]Ma non arricciarti i capelli col calamistro, non depilarti le gambe strofinandole con la pomice. Lascia queste cose agli urlatori che celebrano la dea Cibele (che nel furore orgiastico si eviravano). La bellezza maschile non vuole troppe cure. Teseo, quando portò via Arianna, non aveva i capelli annodati con le forcine . . .[/i]”.

Catullo, con sarcasmo, prende in giro un tale “Egnazio” e il suo perpetuo ridere, eseguito con affettazione per mostrare i denti bianchissimi, ricordando che il suo collutorio era quello, allora molto in voga, a base di urina iberica! (Cat. 39,1 2;17 21): “[i]Egnazio per mostrare il candore dei suoi denti ride di ogni cosa … Ma tu sei spagnolo e in terra di Spagna la mattina tutti si strofinano a sangue gengive e denti, così, più bianchi sono i vostri denti e più svelano quanta orina avete bevuto[/i]”. E ancora (ib.37,17 20): “ [i]… e più di tutti tu, Egnazio, capellone modello, nato tra i conigli della Spagna, che ti fai bello di una barba incolta e di denti sciacquati con l’urina[/i]”.

A volte succedeva che i capelli, sfibrati per le eccessive decolorazioni e per l’uso del [i]calamistrum[/i], ferro che veniva scaldato e serviva a fare boccoli e ricci, cadessero. Questo succede alla bella Corinna, che Ovidio cerca di consolare dicendole (am. 1,14): “[i]Io te lo dicevo, smetti di decolorare i capelli, ormai non hai più una chioma da tingere. Se li avessi lasciati al naturale, cosa c’era ora di più lungo? Ti arrivavano ai fianchi ed erano cosi sottili da avere il timore di pettinarli … Non erano bruni i tuoi capelli né biondi, ma né l’uno né l’altro, misti di entrambi i colori … Aggiungi che erano docili e adatti a cento ondulazioni diverse … Ma, pur essendo sottili come lanugine, quante violenze sopportarono? Con quanta pazienza si offrirono al ferro e al fuoco al fine di formare, torti in cerchio, la curva ondulazione?[/i]”.

Anche in questi casi si ricorreva ai “posticci”, che potevano essere ricci sciolti, una parrucca intera o un [i]toupet[/i], tutti venduti in noti negozi. Si legga Ovidio (ars 3, 1165 ss.): “[i]Eccola, avanza con la testa di capelli comprati; ha fatti suoi per quelli che non ha, quelli di un’altra donna. E non si vergogna di comprarli in un luogo ben noto a tutti, ognuno può vederli venduti davanti agli occhi di Ercole o al coro delle Muse[/i]” (Oggi tra il Portico di Ottavia e Piazza Mattei).

[i]*Facoltà di Lettere e Filosofia – Università degli Studi dell’Aquila[/i]