
di Annamaria Coletti Strangi*
Molte erano le acconciature in voga, come mirabilmente si legge in Ovidio (ars 3,133 ss.): “[i]Ma come non potresti enumerare le ghiande di una quercia, né le api sull’Ibla, né i lupi sulle Alpi, così nessuno potrà mai contare le mille pettinature o fogge nuove che nascono ogni giorno[/i]”. Realmente esse passavano velocemente di moda, tanto che persino le statue dei personaggi più sofisticati e à la page, a volte, avevano una doppia acconciatura. Gli scultori che modellavano i ritratti, ricorrevano a parrucche di marmo più tenero e comunque lavorato a parte, da sostituire secondo il bisogno, l’occasione e soprattutto la moda del momento.
Ovidio consigliava a ogni donna di studiarsi attentamente davanti allo specchio e di adattare al suo viso, per valorizzarlo, una pettinatura giusta (ars 3,137 ss.): “[i]Un ovale lungo predilige la scriminatura nel mezzo, quello tondo le orecchie scoperte e una crocchia sulla sommità del capo; c’è chi viene valorizzata dai capelli legati, chi dalle chiome sciolte e inanellate. A molte stanno bene i capelli scapigliati; tu crederesti che si è alzata or ora dal letto, invece si è appena pettinata[/i]”.
Non solo, ma come oggi, anche allora c’era la moda da seguire, lanciata dalle matrone in vista, come quelle della casa imperiale: Poppea, ad esempio, influenzò le sue contemporanee con la moda del biondo.
Esistevano tuttavia nelle acconciature delle linee prevalenti, riprodotte nei ritratti, nonché elementi specifici, caratterizzanti epoche e personaggi.
Sarà proprio in età traianea che alle acconciature verranno aggiunti i posticci di riccioli più notevoli e spesso di dimensioni incredibili, facendo toccare il più alto livello di artificiosità di tutto l’impero.
Pettinature così complesse richiedevano lunghe sedute di ore, a volte con risultati non soddisfacenti per le capricciose matrone. Ovidio (ars 3,230 ss.) raccomanda:”[i]Sia sicura dalle offese l’ancella che pettina, non tollero chi, in un eccesso di rabbia, la graffia sulle guance o le trafigge le braccia con l’ago crinale. Scene purtroppo consuete; la poveretta vota la testa della padrona agli spiriti infernali … e, coperta di sangue, la bagna di lagrime[/i]”.
Anche Giovenale depreca tale crudele abitudine (6,490 495): “[i]L’infelice Pseca, con i capelli strappati e i seni e gli omeri nudi, le pettina i capelli. ‘Perché un ricciolo è più alto?’ – dice- E la frusta subito punisce la colpa orrenda del ricciolo mal riuscito. Ma che ti ha fatto Pseca? E’ forse colpa sua se il tuo naso non ti piace?[/i]”.
Molte volte, invece, tra la matrona e l’[i]ornatrix[/i] si instaurava un rapporto di complicità se non di affetto, come si legge in numerose iscrizioni tra cui se ne cita una: “[i]Polideuce offrì questa epigrafe alla parrucchiera Ciparene che ha reso bene il suo servizio[/i]”.
[i]*Facoltà di Lettere e Filosofia – Università degli Studi dell’Aquila[/i]
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