
di Valter Marcone
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Solitudini di giorni[/i]
Ho seguito l’erba sulla strada
fin dentro gli androni
ed era come seguire un filo
d’arianna della vita
di tutta quella gente
che non calpesta più queste strade
e non abita più quegli androni.
Le gugliate del mio respiro
smorzato dall’odore di polvere
intrecciano una tela di destini
che non possono fondersi in uno
perché sono lunghe queste vite
e spaziano nella speranza di un’altra.
La speranza mentre sono qui
è che la vita perduri nella vita
per non lasciare il governo della casa
anche quando non si è presenti
e perdere l’amore che a fatica
abbiamo dato e abbiamo ricevuto.
Solitudini di giorni
appaiono così un’inezia
quando rammento il dolore
che è troppo mio compagno
anche perché non so dire
se questo dolore
è terra di riporto o terra vera
quella dove cresce l’erba
e scorre l’acqua, quella
che t’accoglie quando nasci
e ti consola quando muori.
E’ terra, terra della mia città.
-Prega – dice – per la città perduta –
dal futuro con l’anima nascosta
dal passato come lume di torcia tascabile.
Tu che hai visto cadere mura
hai sempre detto che non c’è
morte senza che non vi sia nascita
e per questo pregherò.
Il meriggio di marzo è un’ora
che non passa eppure eppure
guardarsi attorno in questa città
è come spingere una barca in mare
in un viaggio attorno al mondo.
Ho sognato da sveglio le lusinghe
del viaggio ed è per il momento
un viaggio nell’anima.
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