Sisma 6 aprile: da Teramo a L’Aquila

5 aprile 2013 | 13:49
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Sisma 6 aprile: da Teramo a L’Aquila

di Fabiana De Rosa

Quella notte, un boato mi buttò giù dal letto mentre sentivo il pianto di mia madre e guardavo il volto di mio padre che mi pregava di andare accanto a lui.

Ma io ero ferma, immobile e incredula, di fronte a quella che sembrava essere la fine del mondo. Pensavo di morire assieme alla mia famiglia. Qualche minuto e tutto finì. Non sapevamo come, ma eravamo tutti vivi.

Capimmo da subito che in qualche luogo molto vicino a noi, delle persone non avrebbero avuto la stessa fortuna di sopravvivere. Le immagini che scorrevano sul televisore ci rendevano impotenti, perché a pochi chilometri dal teramano la vita non sarebbe stata più la stessa e il bilancio delle vite sarebbe sceso. E fu così: meno 309.

In quei momenti un solo pensiero viveva nella mia mente: «Sotto quelle macerie potevo esserci io o qualcuno dei miei cari. Quella città distrutta poteva essere la mia».

Il paese in cui vivo non è più lo stesso e il centro storico è un terreno di chiese e di case puntellate. Altri borghi del teramano sono stati fortemente colpiti dal sisma del 6 aprile ma nonostante tutto, a Teramo la vita continua.

E continua perché oltre lo spavento, nessuna vittima e, dopotutto (a parte un’economia ferma che di certo non è da poco) viviamo in una città che c’è ancora.

Ma il destino ha voluto che mi scontrassi comunque con quella realtà e che vivessi più da vicino, anche se a distanza di quattro anni, il dramma aquilano. Dopo anni di esperienze universitarie e lavorative nel teramano, da pochi mesi lavoro all’Aquila e posso dire con franchezza di sentirmi “smarrita”. La mattina alla fermata dell’autobus gli studenti pendolari sono numerosissimi: molti di loro in precedenza vivevano nella città universitaria per sostenere i loro studi ma oggi preferiscono essere dei “fuori sede” piuttosto che passare le loro giornate in una città terremotata.

Il mio viaggio di andata e ritorno è davvero strano. Sento di percorrere una città che non c’è più, una città ormai priva di identità, che gli aquilani continuano con forza a disegnare come “la loro citta”. Alcuni ne sono persino gelosi e la amano anche se, purtroppo, non c’è più niente da amare. La amano, comprensibilmente, sulla base di un ricordo.

La loro vita gira attorno al terremoto: anche piccole scosse sismiche fanno tornare a galla la paura, le parole di un politico sulla ricostruzione sono fonte di speranza. Nei discorsi degli aquilani quel sisma è sempre presente. Incancellabile, così come nelle loro menti.

Spesso capita di mettermi nei loro panni e se immagino di perdere la mia Teramo mi sento vuota. E’ folle non poter vivere il piacere di fare una passeggiata in centro, di non poter guardare più quei luoghi dove si è cresciuti, ci si è divertiti e innamorati.

La consapevolezza di ciò cresce quando nel mio viaggio di ritorno mi capita di incontrare dei palazzi colpiti dal sisma e delle case in legno che ospitano le persone che hanno perso ogni punto fermo, ogni sicurezza della loro vita.

Sono persone forti, sono le persone che nonostante tutto, amano ancora la loro città.