Sisma, attraverso lo sguardo dei ‘non aquilani’

5 aprile 2013 | 17:42
Share0
Sisma, attraverso lo sguardo dei ‘non aquilani’

di Gioia Chiostri

Una favola nera, quella del terremoto. Un rancore mai finito, una nostalgia mai abbandonata. Le tre parole che imperano negli animi degli aquilani, nel giorno della tragica commemorazione del sisma, sono rialzarsi, fare, elaborare. Fuori dalle mura aquilane, però, sono molti che, in vista della ricorrenza sopraddetta, giudicano il terremoto e il suo ricordo con occhi, come si suolerebbe dire, ‘lontani’, occhi discreti, non particolarmente coinvolti.

La Marsica, zona che comunque ha percepito il terremoto, che nonostante tutto lo ha vissuto e che ne è rimasta spaventata, rassomigliandolo a quello lontano del 1915, commenta la ricorrenza. «La commemorazione è giusta – afferma Cinzia Buttari, madre e insegnante alle scuole elementari, di Avezzano – rappresenta un’iniziativa positiva per il ricordo delle vittime di quella notte, 309 con esattezza. Io mi unisco con il cuore al dolore dei familiari e partecipo anche se solo virtualmente a questa festa del lutto. Mi piacerebbe essere presente alla fiaccolata». Da educatrice di bambini prossimi a formare il proprio carattere e il proprio schema di certezze, Cinzia ricorda che subito dopo l’evento sismico: «Dopo un lungo periodo di chiusura della scuola, il primo giorno di rientro, gli alunni erano molto spaventati, anche perché frequentavano la classe prima elementare. Raccontarono la loro esperienza e mi fecero molte domande. Noi insegnanti non abbiamo fatto altro che rassicurarli, dandogli tutte le spiegazioni, dicendogli anche che la nostra scuola non era affatto pericolosa. i giorni successivi, sono state svolte numerose prove di evacuazione, facendo vivere ai bambini questo intervento preventivo, come una sorta di gioco».

Tante parole di conforto agli aquilani; la maestra afferma che «un evento simile ti sconvolge sicuramente la vita, mi sono immedesimata in loro, anche non trovandomi nel luogo colpito; li ho ammirati per la loro forza di andare avanti, perché nonostante tutto la vita continua. Conoscevo alcune persone che si trovavano lì quella notte e appena possibile li ho contattati. La mia famiglia ha mandato agli aquilani tutti gli aiuti possibili. Personalmente ho mandato diversi viveri, beni per l’igiene e vestiti».

Alessandro Nardis, docente di filosofia e storia del Liceo Scientifico V. Pollione, originario dell’Aquila e adottato a livello lavorativo dalla città di Avezzano, racconta: «Commemorare, stando all’etimo, significa ‘ricordare insieme’, e questo è un atteggiamento che nasce dall’incapacità umana di staccarsi da chi si perde; è un modo per esorcizzare il dolore. Fortunatamente, io non ho perso parenti o amici a causa del terremoto, e se li avessi persi, probabilmente li avrei pensati da quel giorno, ogni giorno, fino ad aggi e continuerei a pensarli per tutta la vita. Eppure non vedo il bisogno di cum memorare, e cioè di ricordare insieme perché, se questo deve servire a non dimenticare, questo sicuramente non accadrà, almeno finché vivranno le persone che hanno fatto questa esperienza: ognuno terrà nel cuore le persone che ha perso. La commemorazione io la vedo come un rituale con cui l’uomo cerca di condividere il dolore, e sinceramente non vedo a cosa possa portare il ripetere rituali per fare una cosa, come il ricordare, che ognuno può continuare a fare singolarmente. Bisogna essere razionali e ricordare che quelle vittime ci sono state per errori di valutazione degli addetti alla sicurezza e alla negligenza nel costruire abitazioni con livello di sicurezza sismica basso e tutto sempre e solo perché viviamo in una società dove l’unico interesse è il denaro. Se delle persone sono morte, è perché qualcuno per guadagnare di più ha fatto qualcosa di meno».

«Invece di commemorare bisognerebbe mettere in atto forme di protesta più serie e invece si continua a vivere in una non-città. Condivido invece la celebrazione al fine di ricordare per non ripetere gli errori che sono costati la vita a più di trecento persone, per non dimenticare che delle persone si sono arricchite grazie al terremoto e che molte sono rimaste impunite per le loro negligenze, per ricordare al resto d’Italia che qui i lavori vanno avanti molto a rilento, che il livello di criminalità a L’Aquila si è alzato, che in molte case lasciate vuote, tra cui la mia, proprio per i lavori che non partono, sono entrati più volte i ladri e non si vede girare una pattuglia di carabinieri o della polizia al fine di illudere la cittadinanza che esista lo stato (che nell’immediato, subito dopo il sisma, è stato molto presente, ma che poi non servendosi più del terremoto ai fini di propagande politiche, è ritornato a dimenticare i cittadini), quando invece carabinieri e polizia sono sempre presenti e schierati fuori dal parlamento in assetto di guerra per difendere politici che sanno votare solo il loro aumento dello stipendio o i tagli alla scuola ed alla sanità.

Da un punto di vista strettamente psicologico si dovrebbe elaborare il dolore derivato dal terremoto, perché dimenticare, sempre da un punto di vista psicologico, significa rimuovere e ciò porta a stati di malessere di tipo nevrotico. Elaborare significa entrare nell’ottica e quindi ‘accettare l’idea’, che viviamo in una terra che ‘balla’, si dovrebbe quindi vivere con la consapevolezza che il terremoto può tornare in qualsiasi momento, ma questa non può diventare un’ossessione altrimenti la notte non si dormirà più, si vivrà governati dalla paura: bisogna ‘non mettere la pelle dell’orso prima di ammazzarlo’.

L’altro tipo di elaborazione con cui un aquilano deve fare i conti è quello di accettare che questa città, così come è stata vissuta fino al 06/04/2009, non esisterà più e che è un’illusione l’idea che un giorno il centro storico sia ricostruito. Davanti a questa situazione che cosa fare? Vivere in una città in cui si è perso il senso e il valore dei suoi luoghi? Vivere in una città i cui unici centri di aggregazione sono i centri commerciali e in cui tutt’intorno hai case con buchi sui muri e pericolanti? Oppure ricostruirsi una vita altrove? Io credo che sia fortunato chi, in questa situazione, può scegliere, e io l’ho fatto».

«Dopo 3 anni, quasi 4, passati a studiare nella città dell’Aquila ancora non riesco a capire perché tra me e lei ci sia un rapporto di amore e odio – commenta Maria Assunta Nardi, studentessa all’università dell’Aquila, fuori sede, originaria di Capistrello (Aq) – il primo anno è stato davvero difficile convivere con una realtà triste e spenta, non sembrava di essere nemmeno in una città universitaria, nonostante il numero degli studenti fosse comunque notevole. Credo che siamo stati noi studenti fuori sede ad aver ridato una piccola luce ad una città cosi ferita e disastrata. E forse è stato giusto lasciare gli atenei e non spostarli in altri paesi; in fondo bisognava pur ripartire da qualcosa. E noi siamo pronti!».

Dicono che indietro non si dovrebbe guardare mai. Che non serve. Ma a volte anche la memoria ha bisogno di rintracciare i passi che ha fatto, così da non disorientarsi mai.