
di Valter Marcone
[i]Tornare ancora lassù[/i]
E tornare ancora lassù
tra i giorni dissipati, teneri
e pieni d’ombra tra il rosa
delle albe e quell’acceso
arancio di tramonti di sole.
Tornare lassù, come a chiedere perdono
per non essere più capaci
di vedere l’immagine dei baci
il suono dei canti
il rumore dei sogni.
Varcare poi appena appena
la porta delle chiese
che non hanno più soglia
per pronunciare una preghiera
come quelle delle devozioni della sera
quando scacci dal sonno
case grigie e volti di uomini
voci e parole, insonnia, il tempo
d’una giornata ormai passata.
Tornare lassù come un mesto
rituale di vita
che la vita di qui è passata
ed è oggi scomparsa.
In questa vecchia casa
non ci sono più vecchi
che cuciono il tempo
con i ricordi
e non ci sono bambini
che guardano dalle finestre le rondini.
Ora c’è il peso della terra
della polvere, del cuore
che ha perso ogni carità
e non sa più dire.
Che dire?
Lassù, lassù sono tornato
e ho trovato le immagini
addormentate dell’amore
l’amore di chi
di qui passò, di chi qui ritornerà.
Ho trovato la città
la città ho trovato in cammino
lassù in cammino come me.
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