
Di Eleonora Ferroni e Tiziana Pasetti
Sono passati quattro anni da quella notte. Notte d’inferno. Notte buia. Notte in cui anche il silenzio era troppo rumoroso da sopportare. Gli aquilani e chi ha vissuto con loro quella notte saranno marcati a vita dal dolore, dal ricordo, dalla costante voglia di andare avanti anche di fronte alla triste evidenza dei fatti.
Gli aquilani, anche se molti meno rispetto agli anni passati, hanno partecipato alla quarta fiaccolata post sisma. Sì, gli aquilani. C’erano un po’ tutti: con la fiaccola in mano, con le macchinette fotografiche, chi faceva interviste, chi criticava, chi piangeva, chi rideva.
C’era anche chi da tanti anni indossa una fascia tricolore, ormai diventata troppo pesante da portare: Massimo Cialente, il quale ha partecipato al corteo come sindaco e come uomo, come Massimo.
Lei non è solo il sindaco di questa città, ma è anche un uomo, un aquilano che da quattro anni deve vivere, come gli altri, il suo lutto personale. Come ci riesce?
Ce l’ho fatta, soprattutto i primi tempi. Ce l’ho fatta perché lavoravo come un matto. Ricordo una cosa nettamente, un ricordo che mi prende tutt’ora: quando, nei primi mesi, dovevamo partecipare a qualche cerimonia, mi ritrovavo molto spesso a commuovermi, come ogni altro aquilano. Tanto era il mio coinvolgimento. Il lutto non passa. C’è questa speranza di ricostruire, che è un riscatto.
Questo anniversario, forse, è il più duro di tutti, perché ora davvero non sappiamo cosa succederà. Se ce la faremo a ricostruire, se arriveranno i soldi.
Tutti gli attacchi naturali che una carica pubblica riceve, l’uomo, Massimo, come li ha vissuti, come li ha digeriti e in chi ha trovato una spalla?
Ho trovato la forza in me stesso. Molti attacchi sono stati ingiusti. Si diceva che io quella notte sono fuggito perché sapevo, oppure che non mi sia dato da fare in alcune situazioni. Questo mi fa male, perché ho lavorato come una bestia. Rispetto agli altri aquilani, ho portato un fardello in più, delle responsabilità pesanti, ogni ora, ogni giorno. L’unico modo di affrontare tutto ciò è avere la coscienza a posto. Ho trovato la forza anche di riproporre la mia candidatura, ma se avessi saputo di non poter sopportare quella sedia così scomoda non mi sarei mai ricandidato.
Quando scadrà il suo mandato, arriverà anche il suo 6 aprile, quello che tutti gli aquilani hanno vissuto da cittadini. Come lo vivrà? Come vivrà da aquilano, da cittadino, non da sindaco?
Se sarò stato bravo, quella mattina prenderò il mio cane, uscirò per il corso, prenderò un caffè. Poi “cazzeggerò” tutta la mattina, incontrerò la gente, andrò in giro. Ci penso spessissimo, girerò la città ridendo, scherzando. Per questo voglio devo ricostruire il centro storico. Sarò uno splendido pensionato. La parola d’ordine è sparire dalla politica, perché quando è finito il mandato devi capire che è ora di passare il testimone. Ti devi fermare.