
di Ariale
Sono le cinque del mattino.
E’ appena rientrata a casa.
Si toglie il cappello che l’ha protetta dal freddo della notte, lascia cadere il piumino, si toglie le scarpe comode indossate per camminare dalla stazione alla piazza e si siede sul letto.
E’ distrutta.
Vorrebbe silenziare le parole ascoltate, le promesse fasulle, le false chiacchiere da ricorrenza.
E’ indolenzita. Le fa male tutto.
Ma questa sera l’aquila nera batte le ali dentro di lei più selvaggia che mai.
Quando il corteo si è avvicinato ai resti bui della sua casa, illuminata flebilmente dalle luci delle fiaccole, il rapace ha cominciato ad agitarsi, frenetico, quasi volesse uscire dal corpo della donna che lo tiene prigioniero.
Batteva frenetico le ali, sbatteva ovunque impazzito, con il becco uncinato le faceva male, con gli artigli la graffiava dentro.
Sono prigionieri l’uno dell’altro, lei e l’aquila nera, in questa gabbia di carne in cui si compie il loro destino.
Ostaggi di un amore tormentato, di tradimenti, alleanza e solidarietà di cui si nutrono vicendevolmente, con i loro momenti di terra e momenti di cielo.
Ma la terra, da tempo, non dà più risposte. Da anni, tutto fluttua verso l’alto, ormai.
I pensieri della donna salgono sempre di più, lasciano questa terra dalla meschina dimensione, il suo dolore sfuma su, mortifica dall’alto le parole non vere, si allontana dalla falsità delle promesse non realizzate, non usa le parole, lei, non le strumentalizza.
Quello lo lascia agli altri, ai parolai di mestiere.
A lei basta il suo dolore, inenarrabile, che non può essere raccontato, ma solo vissuto.
Cerca il silenzio, ora, dopo il tanto vociare della nottata, dopo le parole di circostanza ascoltate mentre il sangue si ritraeva dal suo corpo per l’indignazione.
La sente l’aquila nera dentro di lei.
Non si placa, questa sera, è apocalittica, stride, la tormenta, la becca, vorrebbe spiegare le ali in un volo maestoso, da regina dei cieli, grida, vorrebbe uscire, liberarsi, librarsi su, in alto, potente, sopra le parole, sopra gli uomini, sopra i discorsi di facciata
sopra tutto
per ascoltare solo il rumore dell’immenso silenzio della vita
del suo inesprimibile dolore
e ritrovare, finalmente, la pace dei suoi luoghi.
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