Uccisero 9 cani, condannati veterinari aquilani

10 aprile 2013 | 11:04
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Uccisero 9 cani, condannati veterinari aquilani

La Corte di Cassazione ha respinto, giudicandolo inammissibile, il ricorso di due veterinari pubblici dell’Aquila – P.I. direttore del servizio veterinario di sanità animale della Asl dell’Aquila – e M.P. veterinario del servizio veterinario di sanità animale della stessa Asl – condannati in appello per l’uccisione di 9 cuccioli di cane poichè il canile non avrebbe avuto posti disponibili.

La sentenza di condanna di due mesi e dieci giorni di reclusione è dunque definitiva.

I fatti risalgono alla seconda metà del 2004, quando il dirigente veterinario ordinò al proprio collega la soppressione di nove animali, per presunti motivi di “ordine pubblico” in base alla richiesta, legittima secondo la difesa, del proprietario del terreno dove vivevano gli animali che invece aveva chiesto solamente un intervento per farli accudire da qualcuno.

«Giustizia per le vittime di queste soppressioni: non chiedevamo altro e finalmente la suprema corte – commenta Ilaria Innocenti, responsabile del settore cani e gatti della Lav, costituitasi parte civile – ha posto la parola fine a una storia di crudeltà e indifferenza, ancor più grave se consideriamo che gli imputati di questa vicenda giudiziaria sono due medici veterinari, di cui un dirigente, cioè professionisti al servizio del bene pubblico che avrebbero dovuto sempre assicurare la tutela e il benessere degli animali».

«Ora con questo atto giudiziario definitivo – dichiara Gianluca Felicetti, presidente Lav – i due veterinari non potranno non essere radiati dall’Albo poichè, come specifica la normativa sul tema, il Dpr 221 del 1950, hanno compromesso gravemente la loro reputazione e la dignità dell’intera classe sanitaria».

«La sentenza va a ribadire quanto da noi sostenuto fin dall’inizio – spiega l‘avvocato Carla Campanaro, dell’ufficio legale Lav – ovvero che il rapporto fra cane e proprietario giuridico non può essere ridotto ad una banale disponibilità dell’uomo sull’animale, ma deve tener conto della capacità di soffrire di quest’ultimo, in quanto essere senziente meritevole di tutela».

«Già in primo grado – conclude l’avvocato – il tribunale dell’Aquila aveva rilevato che grazie all’allora recentissima legge sul maltrattamento di animali, la 189 del 2004, “il proprietario non ha più la totale disponibilità dell’animale, nè può infliggergli gratuite sofferenze nè toglierli la vita senza valide giustificazioni”. Un’evidenza sottolineata anche dalla sentenza d’appello del 2011, che oggi trova riconoscimento una volta per tutte nella decisione della Cassazione».