
di Eleonora Ferroni
È l’immagine della fine di un’era, della fine di un partito ormai in frantumi. L’immagine di un Paese alla deriva, guidato da una dirigenza politica che non ha saputo imboccare la strada del cambiamento, la strada del rinnovamento. Forze politiche allo sbando, manovrate come burattini dall’alto per scopi che non dovrebbero superare gli interessi del Paese, ma che da più di vent’anni la fanno da padrone sui banchi dei palazzi romani, quelli che contano.
La giornata di ieri resterà indelebile nei libri di storia perché in Italia non era mai stato rieletto un presidente della Repubblica. E resterà nella memoria perché sabato 20 aprile 2013 è il giorno in cui i leader dei più importanti schieramenti politici sono saliti al colle più alto per chiedere aiuto a un uomo, già servitore della patria per tanti e tanti anni, perché loro non sapevano fare di meglio. Perché 1007 grandi elettori non sono andati oltre le lotte di partito, non hanno scelto il bene comune. Come condottiero delle spedizione Pier Luigi Bersani, capitano di una nave che affonda, ormai senza remi e scialuppe di salvataggio.
La foto ha fatto il giro del web e del mondo dell’informazione.
Tutti i siti titolavano “Le lacrime di Bersani in aula”, “Bersani piange in aula” e via dicendo. In realtà il segretario dimissionario non ha pianto.
Da Largo del Nazareno precisano: durante le operazioni di voto per l’elezione del presidente della Repubblica, “non c’è stato nessun pianto di Bersani in aula come invece è stato riportato da alcuni siti e dai giornali. Non si capisce come sia stato possibile scambiare un gesto per un pianto”. Lacrime o non lacrime il risultato non cambia. Quel gesto è in ogni caso significativo di crepe al momento insanabili all’interno della coalizione di centrosinistra.
Partiti (tutti!) incapaci di trovare nell’Aula i numeri necessari per eleggere un nuovo inquilino al Quirinale. Eppure i nomi sono stati fatti. Perché non votare Stefano Rodotà? Perché non Romano Prodi? Perché rivolgersi a Napolitano che nel 2020, alla fine del suo secondo mandato, avrà 94 anni (parlando con tutto il rispetto del caso).
Lacrime o non lacrime Bersani e i suoi si sono fatti mettere i piedi in testa, come si suol dire. Berlusconi ha vinto un’altra volta, anche perché da giorni il Cavaliere puntava su Napolitano, forte della speranza di un governo di larghe intese. Ora il Pd è allo sbando, la segreteria si è dimessa, la base si ribella in ogni modo (bruciando e strappando le tessere).
Lacrime o non lacrime, il Pd dovrà rinascere dalle proprie ceneri per dare nuove risposte a un Paese che lo ha votato, che gli ha dato fiducia fino all’ultimo momento.
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