Stupro Pizzoli: «Elementi certi per condanna»

2 maggio 2013 | 17:11
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Stupro Pizzoli: «Elementi certi per condanna»

«La vittima è stata lasciata sola e spesso la violenza colpisce le donne lasciate sole in un contesto di indifferenza che le rende più vulnerabili». E’ questo il ‘cuore’ delle motivazioni (contenute in 20 pagine) sulla condanna a 8 anni di reclusione per Francesco Tuccia, l’ex militare di Montefredane (Avellino), giudicato il 30 gennaio per lo stupro avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2011 fuori il piazzale della discoteca Guernica di Pizzoli, ai danni di una studentessa universitaria di Tivoli (Roma) di 22 anni, lasciata in una pozza di sangue dopo la violenza sessuale, tra le neve e con una temperatura al di sotto dello zero. Per il giudice Italo Radoccia gli elementi di prova a carico di Tuccia «appaiono numerosi e concordanti».

Radoccia, estensore delle motivazioni (il collegio era formato anche da Carla Ciofani, giudice a latere, e Giuseppe Grieco, presidente della Corte) è andato oltre, censurando – come risulta all’Agi – anche gli amici di Tuccia «in quanto militari e quindi avrebbero dovuto essere avvezzi alla disciplina e al senso dell’onore». Il magistrato ha invece rivolto un plauso ai titolari della discoteca e soprattutto al personale addetto alla sicurezza che con il suo operare ha di fatto salvato da morte certa la ragazza. Per il magistrato Radoccia, «nessun valido consenso ai rapporti sessuali poteva essere dato dalla ragazza per via del suo stato di forte ebbrezza da sostanze alcoliche che hanno ridotto al minimo la sua capacità di autodeterminarsi, data la sua intossicazione alcolica». Sull’amnesia della ragazza relativa ai momenti antecedenti la violenza, il magistrato afferma che «l’assenza dei ricordi ha origine psicologica ma l’effetto è potenziato dall’assunzione di sostanze psicoattive come l’alcol». «Gli elementi di prova a carico di Tuccia – prosegue – appaiono numerosi e concordanti che delle dichiarazioni della vittima si può anche fare a meno».

Tuccia «ha compiuto volontariamente atti diretti a compromettere la libera determinazione in ordine alla sfera sessuale della giovane e ciò anche a prescindere se la finalità che ha spinto l’imputato sia stata la concupiscenza o l’umiliazione della vittima». Tuccia ha accettato il rischio di provocare lesioni alla giovane vista la pericolosità della pratica fisting (penetrazione anale con mano). Sul tentato omicidio (non contestato a Tuccia) Radoccia sottolinea: «Non è possibile dimostrare che la volontà del Tuccia fosse quella di provocare la morte della giovane ma solo che il decesso di quest’ultima potesse essere una possibile conseguenza della sua condotta, diretta a sottrarsi all’identificazione come autore della violenza».

«Dal momento che il tentativo è incompatibile con il dolo eventuale, nel quale la rappresentazione dell’agente investe l’evento solo come possibile conseguenza di una condotta diretta ad altro, in questo caso a fuggire per non essere chiamati a rispondere di una condotta comunque violenta. Il delitto tentato – spiega sempre il magistrato – non può prescindere dal dolo diretto, infatti se può argomentarsi che il requisito dell’idoneità degli atti è compatibile con il dolo eventuale, non può ravvisarsi tale compatibilità anche con riferimento al requisito dell’inequivocità degli atti, essendo questo requisito del tutto inconciliabile con lo stato di dubbio».

Sempre secondo il giudice estensore, «la vittima soffre di difficoltà fisiche relazionali e anche del timore di ritornare a vivere la vita sociale e familiare dovendo fare i conti con l’accaduto. In presenza di questo timore la sua autodifesa consiste nel non ricordare o nel rifiutarsi di ricordare, ma d’altro canto questa condizione d’animo può portare facilmente alla depressione». Per il magistrato non c’è dubbio che Tuccia ha cercato con la complicità degli amici di scappare oltre che di sviare le indagini facendo ricadere la responsabilità su un terzo soggetto.