Erasmus: ‘Hello Opportunitiy’

9 maggio 2013 | 12:00
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Erasmus: ‘Hello Opportunitiy’

di Gioia Chiostri

L’Erasmus, questa grande vetrina sul mondo, che aiuta gli studenti a confrontarsi con realtà lontane (ma non così tanto, visti i mezzi di comunicazione odierni) esiste anche nella realtà universitaria aquilana. Esn Italia è l’acronimo di Erasmus Student Network Italia: un’associazione europea di studenti universitari il cui scopo è promuovere e supportare gli scambi internazionali fra studenti, attraverso il principio ‘Students Helping Students’. «Per quanto concerne l’Eramus – ha spiegato Alessandra Fiodigigli, ex presidentessa dell’Esn L’Aquila – posso dirti che in genere vengono presi quasi tutti gli studenti, se superano un colloquio nel quale si chiede quali sono le motivazioni che spingono a partire. Successivamente, se si è ammessi, va fatta una domanda per le Università convenzionate (Murcia in Spagna, Lille in Francia e Leeds in UK) e si cerca di inserire nel proprio piano di studio, esami che hanno delle corrispondenze nel piano di studio dell’università di origine».

«Io sono stato all’università di Leeds nel nord dell’Inghilterra per ben 11 mesi, da settembre a luglio – racconta Roberto Risio, studente di Lingue all’Università degli Studi dell’Aquila – ho compilato la domanda, è stata accettata e sono partito. Fortunatamente qui mi hanno riconosciuto tutti gli esami che ho sostenuto lì».

L’esperienza all’estero può durare al massimo un anno intero accademico, o anche solo sei mesi. «È stata un’avventura bellissima che porterò sempre nella mia anima, perché oltre alla mente, è anche lo spirito che se ne nutre. A livello universitario, il modo di approcciarsi inglese ad una determinata materia è differente rispetto a quello italiano. Gli esami di lingua, ad esempio, sono scritti ed orali; durante l’anno accademico si devono sostenere vari ‘microesami’; solitamente si tratta della stesura di saggi su alcune opere narrative che possono essere svolti anche a casa. La votazione ottenuta in ognuna di queste prove, viene calcolata in percentuale e va ad integrare il voto finale che ha vale il 50% dell’esame intero. Le altre prove, invece, accumulate contano per il 25%».

Meglio o peggio rispetto alla realtà dell’Università dell’Aquila? «Ti parlo da studente di Lingue: a livello di comprensione, il metodo che si adopera in Inghilterra è migliore, in quanto permette un’acquisizione della materia un poco alla volta, e quindi si è in grado si metabolizzarla pian piano. Per quanto concerne la difficoltà, all’Aquila abbiamo tutti esami cosiddetti ‘totali’ e, ovviamente, già l’aggettivo fa presumere l’esistenza di uno studio maggiore a monte. Inoltre nell’Università che ho frequentato, era consuetudine proporre dei ‘seminari-lezione’ agli studenti: veri e propri incontri collettivi che vengono organizzati da ‘tutor’, durante i quali si discorre di una particolare opera letteraria assegnata come lettura per casa. Gli incontri sono dialoghi colti, che aiutano ad elaborare qualche spunto innovativo, indispensabile per la scrittura del saggio. Interessanti anche le lezioni frontali: una sorta di vis – à – vis fra alunno e docente».

«A Leeds ho conosciuto di tutto – spiega sorridendo il ragazzo – francesi, russi e non solo studenti inglesi. In Erasmus è facile incontrare gente di nazionalità diverse; ovviamente il mezzo linguistico di comunicazione per eccellenza è proprio l’inglese. Nella prima parte della mia esperienza ho alloggiato presso una struttura dedicata agli studenti. Purtroppo col passare del tempo quella struttura ha chiuso per ristrutturazione e così ho dovuto arrangiarmi e trovare un alloggio privato. Se si va in Spagna, ad esempio, bisogna trovarsi casa da soli, mentre a Leeds, esiste un’application che garantisce un posto in una residenza appropriata. Nella mia università era la St. Mark».

Immortale la reputazione che anche gli studenti italiani continuano ad avere all’estero: «i tipici donnaioli – ha affermato Roberto – anche se io non ho potuto usufruire di questa etichetta visto che sono fidanzato da sei anni con una ragazza che vive proprio in Inghilterra, tant’è che andavo spesso a trovarla. Inoltre, dato che gioco a pallavolo, ho avuto l’opportunità di giocare anche per la squadra dell’università inglese: anche lì la multinazionalità faceva da padrone».

Cos’è che lascia nel cuore questa esperienza formativa? «Il ricordo più bello? Il primo saggio che ho scritto. Lì, nell’Università di Leeds, ci sono dei criteri ristrettissimi per la valutazione; esistono delle fasce di voto: la più bassa è quella che va da 40 a 50 punti su 100; in questo caso il saggio che si è scritto è appena sufficiente. Se si arriva ad una votazione pari a 50/100 o 60/100, si rientra nella seconda fascia, e il proprio saggio è considerato un buon paper. Ma è quando si arriva ad ottenere una votazione da 70/100 a 100/100 che il proprio elaborato è addirittura pubblicabile. Io ho preso 56 – ha aggiunto Roberto Risio – non credo sia andata tanto male!».